Claudio Gnoli


Nell'Italia interna

Esplorazioni di posti occidentali

 

 

 

Ci sono luoghi di lenzuola profumate,
profondità da dispiegare,
ci sono campi di sabbia nell'Italia interna
ancora tutta da bonificare
[Ivano Fossati, La vita segreta]


Liguria 1973; Milano 1976; Chiavari 1979; Ustica 1980; Pavia 1992; Parigi 1996; Quattro Province 1997; Calabria e Sicilia 1997; Bologna 1997; Cechia 1998; Appennino parmense 1998; Marche 1998; Alpi Marittime 1999; Austria 1999; Oltrepò pavese 2000; Austria 2000; Lario 2000; Pavese 2001; Appennino reggiano 2001; Quattro Province 2001; Marche 2001; Finlandia e Svezia 2002; Dolomiti friulane 2003; Occitania e Catalogna 2005; Slovenia 2006; Spagna settentrionale 2007; Galles 2013; Alpi Orobie e Marittime 2013; Carpazi occidentali 2014; Sarthe 2014; Lisbona 2015; Linguadoca, Aragona e Douro 2018; Bretagna 2020


Estratti adattati da Il culto dei ricordi: note autobiografiche, perenn. in prep.


Liguria 1973

A Lavagna sei stato bene e dopo pochi giorni dalla nostra partenza sei diventato un vero nuotatore. Dev'essere stato zio Pippo ad iniziarti ai misteri. Prima avevi una paura terribile del mare. Hai vinto, mi dicono, ogni paura e nuotavi col tuo salvagente lontano, dove non si toccava, fino agli scogli. Andavi mattina e pomeriggio sulla spiaggia sassosa e lì trovavi — in luglio almeno — tua cugina Alessandra con la sorellina più piccola, Pippo con la moglie. Papi, che non sopporta molto la vita di mare, spesso, al pomeriggio, vi portava verso i monti, nell'interno, in posti bellissimi. Hai fatto passeggiate, ti sei arrampicato. Anche queste novità importanti. Ieri sono andato a Brera a trovare la tua mamma. Parlando ti ha definito «un romantico» perché — è strano a dirsi — hai il culto dei ricordi (come me). Hai voluto che ti portassero a Nervi, a Bogliasco, dov'eri stato l'anno scorso con i tuoi e poi con noi. Hai voluto riveder tutto, ricordavi tutti.

[Giulio Gnoli, Il libro del bimbo Claudio e del Nonno]


Milano 1976

La periferia e i sobborghi ad est di Milano erano il teatro delle scorribande con Papi: si trattava di qualche vecchio quartiere o paese (l'Ortica, Redecesio) progressivamente inglobato dall'avanzare della città, fra aree abbandonate ed altre di prati non ancora edificati. Li frequentavamo spesso, unitamente al parco Forlanini, una grande area verde in direzione dell'aeroporto di Linate dove la gente si recava per fare sport o giochi di squadra. I passatempi principali di Papi riguardavano la manutenzione delle sue auto, quasi sempre di modelli vecchi e piuttosto originali: così parcheggiavamo in qualche spazio tranquillo, e lui si dedicava al controllo di acqua e olio, alla lucidatura della carrozzeria o a piccoli aggiustamenti, mentre io mi aggiravo all'intorno e qualche volta lo aiutavo.

Nel frattempo restava accesa la radio, la cui compagnia Papi ha sempre amato. A quell'epoca ascoltavamo perlopiù i canali nazionali, con i notiziari e degli intrattenimenti musicali. Ma il divertimento maggiore era dato dalla leggendaria trasmissione "Alto gradimento", condotta durante la tarda mattina o il mezzogiorno da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, nella quale a dischi di musica leggera di discreta qualità si alternavano dialoghi con una serie di personaggi immaginari interpretati dalle voci acrobatiche di Mario Marenco e Giorgio Bracardi: quegli assurdi tipi umani, caricature surreali di ruoli della vita reale (il cattedratico pomposo, il puntiglioso generale dell'esercito, l'annunciatrice del supermercato, il nostalgico del periodo fascista, il giornalista di cronaca pettegolo — il famoso Vinella), creavano una comicità un po' demenziale che avrebbe influenzato il mio gusto. "Alto gradimento" andò in onda per parecchi anni; successivamente sarebbe stata surrogata da trasmissioni simili, sempre ideate da Arbore e con nuovi personaggi: e lo stesso gusto, combinato con una simpatica valorizzazione della cultura napoletana e meridionale in genere, avrebbe ispirato le trasmissioni televisive di Arbore degli anni Ottanta, anch'esse mitiche, "Quelli della notte" e "Indietro tutta". Quelle mattine (di giornate non scolastiche o estive), da noi passate anche giocando un po' a pallone in quei giardini pubblici, si concludevano quasi ritualmente con l'andare a prendere Mamma all'uscita dal lavoro.

Un'altra atmosfera interessante era quella del sabato pomeriggio, nei periodi in cui lo trascorrevamo a Milano. Io e Papi giravamo esplorando gli stessi quartieri in auto o anche in motorino (io seduto davanti a lui sulla punta del sellino). Una delle zone più affascinanti era un tratto della massicciata ferroviaria nella zona di Lambrate, dove si poteva osservare il passaggio dei treni o qualche relitto di auto o camion abbandonati. Arrivando a casa aspettavamo la cena guardando la piccola televisione che, per la prima volta, Papi aveva recentemente comprato, e in particolare i divertenti cartoni animati di Hannah e Barbera trasmessi dal canale svizzero italiano; le trasmissioni sportive parlavano delle gesta della Juventus e del Torino, le due grandi rivali del campionato di calcio.


Chiavari 1979

Nell'aprile del 1979, colpito da un suggerimento sul "Manuale delle Giovani Marmotte", decisi di cominciare una collezione di tappi di bottiglia a corona, quelli di latta chiamati in genovese grétte. Iniziai così a conservare i tappi dell'acqua minerale e delle bibite presenti in casa, e man mano altri trovati per strada o di bevande acquistate appositamente. Presto divennero anche materiale di gioco: potevano essere raggruppati per colore o per provenienza geografica, ed essere i protagonisti (al pari delle macchinine) di corse lungo percorsi predisposti sui pavimenti di casa. Più tardi avrei inventato anche un appassionante campionato di calcio tappistico. Anche Papà, come mi raccontò, da ragazzo faceva gare di tappi, facendoli però correre con la parte liscia in basso e il nome di famosi ciclisti riprodotto sulla parte concava; nel mio caso invece la personalità del tappo era data dal nome e dalla grafica stampati sulla parte convessa: il nome della ditta o del prodotto fungeva da "cognome", al quale aggiungevo un "nome" di mia ispirazione, talvolta con riferimenti scherzosi (ad esempio, il tappo Sant'Elena diventava Napoleone Sant'Elena detto Leo).

In luglio tornammo a Chiavari, prendendo in affitto l'appartamento a fianco di quello dell'anno precedente, molto più grande e bello. Il lungo balcone al quinto piano dava sulla piazza con la statua di Cristoforo Colombo e sul porto turistico. Nel viaggio d'andata passammo, invece che per l'autostrada, per la valle Scrivia e la val Fontanabuona: ci saremmo fermati a pranzare, come amavamo fare, in qualche angolino verde dalle parti del passo della Scoffera; comprammo perciò qualcosa in un negozio di alimentari di Avosso, fra cui dell'acqua minerale di marca Vallechiara e della birra Bavaria: i tappi di quelle bottiglie, sconosciuti a Milano, sarebbero stati fra i protagonisti dell'intensa stagione di corse sulle mattonelle di ceramica ondulata verde del terrazzo, insieme a quelli della birra Pelforth che trovammo nel frigorifero della casa. Bavaria in particolare dominò molte corse, finché un giorno mi cadde dal terrazzo: ogni ricerca, anche sui balconi dei vicini dei piani inferiori, fu purtroppo vana, e le corse di tappi persero uno dei loro più grandi campioni. Si sarebbe dovuto ritrovare quel negozio di Avosso, ma naturalmente non ci ripassammo: solo anni dopo ritrovai la birra olandese Bavaria, ed avvenne così il grande ritorno. Fausto Vallechiara e Paolo Bavaria sarebbero stati due dei massimi campioni nella storia delle mie corse di tappi.

Chiavari era una bella cittadina: oltre al doveroso e poco amato tempo sulla spiaggia (avevamo trovato da frequentare un lembo di sabbia piccolo e tranquillo, circondato da scogli), si poteva passeggiare per le vie del centro, sotto i portici, sentendo i ghiotti odori dei negozi di alimentari, oppure nei vialetti pubblici della pineta di villa Rocca; fare colazione o merenda con la meravigliosa focaccia, liscia o al formaggio; frequentare l'ottima gelateria Costa, proprio sotto casa; far correre le macchinine sui lunghissimi muretti lisci del lungomare; andare al cinema o a un bel teatro dei burattini sul lungomare; e soprattutto, nel pomeriggio, partire in auto per esplorare qualche stradina dell'entroterra. Sotto i portici e nelle sale giochi si trovavano anche i primi videogiochi, utilizzabili inserendo una moneta nel corpo dell'apposita macchina: il più antico fu probabilmente "Arkanoid", consistente nel colpire una pallina che rimbalzando doveva andare ad eliminare progressivamente varie file di mattoncini colorati.


Ustica 1980

Era una sera come tante. La prozia Nerina salì da noi, in lacrime, e come altre volte si sedette su una poltrona nell'angolo della cucina verso la strada, mentre mia mamma era affaccendata. Sulle prime non facemmo troppo caso al suo pianto, perché era solita drammatizzare i problemi, specie riguardanti la sua famiglia, e lamentarsene con mia mamma. Ma poi ci disse, fra un singhiozzo e l'altro, di una sciagura occorsa alla famiglia di Graziella. Erano tutti morti, compresi i bambini! Restammo sbigottiti; sulle prime pensammo a Graziella la moglie di Neri, non capivamo. Ma invece si trattava di Graziella la sorella di Maria Rosa, amica d'infanzia di Mamma («io, Ginetta e Graziella...», ricordava spesso lei). Con il marito e i due figli era in viaggio in aereo verso la Sicilia, dove abitavano. L'aereo era caduto in mare, tutti i passeggeri erano morti. Si trattava dell'incidente avvenuto nei pressi di Ustica, in circostanze che sarebbero rimaste misteriose, e di cui i giornali avrebbero discusso per anni, per decenni (forse l'aereo non cadde per un guasto, ma fu colpito da un missile lanciato da un aereo militare).

Graziella aveva sposato Salvatore D'Alfonso, un giudice siciliano, e si era trasferita a vivere laggiù. Avevano due figli, Francesca e Sebastiano. Qualche volta erano venuti a Volpedo — ricordo che a Sebastiano, che aveva pochi anni, era stata data per giocare una mia auto telecomandata, e quando l'avevo scoperto me ne ero seccato, anche perché lui era troppo piccolo per usarla appropriatamente. Francesca era una bella bambina con scuri capelli a caschetto. Salvatore era un signore schietto, molto allegro e cordiale. Era andato d'accordo con Papà, che trattava come un vecchio amico; probabilmente avevano anche di che parlare a proposito di giurisprudenza. Era un grande sportivo: un giorno fecero insieme un giro in bicicletta, e Papà tornò esausto raccontando che quell'uomo lo aveva sfiancato, salendo per la ripida strada di Monleale con un'energia impressionante.


Pavia 1992

Una mattina di tempo variabile, verso le dieci. Un treno mi ha appena scaricato, ed esco dalla porta della stazione sul piazzale, trovandomi improvvisamente in faccia un mondo diverso. Prodigio delle ferrovie: in mezz'ora dal caos frenetico della grigia metropoli all'atmosfera paciosa della provincia, che ti fa sentire a casa anche nel caso che casa tua non sia.

Comincio a camminare in direzione del centro, e non sono neanche dieci minuti. Non si capisce bene se il corso, fiancheggiato dalle vetrine che espongono torte alla crema e focacce, sia riservato ai pedoni oppure no: perché è un incrociarsi in tutte le direzioni di persone, autobus, biciclette e motorini ed anche qualche auto; di gruppi di studenti, e casalinghe vestite bene, ed altri. Nulla di più innocuo, si direbbe, di questa cittadina, dalle case vecchie ed anonime: è questa l'antica Ticinum, la capitale longobarda, la sede di un'università di lunghissima tradizione.

Qualche goccia di pioggia che non preoccupa, mentre cerco sulla sinistra l'angolo con il vicolo giusto, che mi indicò un tassista alla stazione la prima volta; verifico il nome scolpito sulla vecchia lastra affissa all'angolo — l'assurdo nome: via del Muto dall'Accia al Collo. Che sarà mai un'accia, mi chiedo spesso divertito? Sulle prime avevo letto male, e credevo si trattasse di un Mulo: cosicché me la immaginavo come un oggetto pendente dal collo dell'animale. L'uomo che non può parlare, invece, evoca vaghi e ignoti episodi medievali. In ogni caso, astenendosi dallo svelare il mistero, la via conduce alla piazza Botta, anch'essa ambigua per la sua forma strettissima ed allungata che suggerirebbe di chiamarla piuttosto via.

Ma non stiamo qui a sindacare. Varco l'ingresso del cortile, e lo attraverso aggirando l'aiuola con al centro una statua di Lazzaro Spallanzani. La zia Claudia studiò Scienze Naturali a Pavia quarant'anni fa, e se la ricorda. Un'occhiata fra le auto posteggiate, per riconoscere quella insolita, coreana, del Capo. Questo palazzo cadente è un piccolo tempio: un intero Dipartimento di Biologia Animale, un lusso che a Milano non ci sognamo neppure. Trovo suggestivi i suoi locali dai soffitti alti, anche se uno sguardo più oggettivo dovrebbe forse definirli squallidi; ma io mi diverto di certi piccoli caratteristici disagi, e mi sento onorato e fiero d'entrare in questo edificio scrostato destinato alla ristrutturazione. Il particolare più sublime è passare sotto l'arco del portone, che reca un vecchio motto in latino a cui nessuno sembra far caso:

QVID HIC? INTVERI NATVRAM. QVO MVNERE? CVRIOSVM ESSE.
Altro che rinnovo dei locali! Certe cose anacronistiche farebbero tanto bene alla nostra desolata e corrotta modernità. — Ma perdonatemi, mi rendo conto che è un'idea molto personale.


Parigi 1996

Mi sono finalmente deciso ad organizzare un viaggio a Parigi, che da diversi anni volevo visitare. Nessuno degli amici si è mostrato interessato a venire, e così sono andato da solo, anche se nello stesso periodo sarebbe stata là, presso un'amica, Paola, ed eravamo d'accordo di vederci. Ho viaggiato, sia all'andata che al ritorno, in treno e di notte, dormendo in cuccetta.

Sbarco dunque alla Gare de Lyon, col mio borsone, venerdì 6 alle otto e mezza del mattino, solo un poco stordito dal viaggio ma di buon umore. Comincio a guardarmi intorno e a trovare un bar dove far colazione. Poi con il metrò raggiungo il mio albergo, un posto economico e alla buona in rue Cadet, in una zona di piccole vie popolari piene di negozi di alimentari e di tavole calde libanesi ed ebraiche. Di lì faccio un primo giro a piedi verso il centro, fermandomi in rue Richelieu alla Biblioteca Nazionale, dove raccolgo un po' di informazioni sulle modalità di consultazione e su altre cose; proseguendo sbocco in rue de Rivoli e mi trovo davanti gli sterminati edifici del Louvre: ma li guardo solo da fuori, ché non sono venuto per visitare musei d'arte, per l'arte nella mia testa non c'è spazio. Sono invece molto più curioso di vedere, sull'Île de la Cité, il quai des Orfèvres: qui infatti si trovava l'ufficio del commissario Maigret, con la sua stufa, immaginato nei romanzi di Simenon; la sede della Polizia Giudiziaria, in realtà, si trova oggi nel quai adiacente, sempre parte del grande complesso del Palais de Justice.

In serata, dopo essermi riposato in albergo, parto per esplorare Montmartre. In rue de Notre Dame des Lorettes, davanti a un cartello esplicativo che parla di un "peintre des lorettes", chiedo a una giovane signora con una bambina: «Qu'est-ce que sont les lorettes?» «Je ne sais pas !» risponde con una simpatica smorfia. In rue Pigalle intravedo in qualche bar delle prostitute poco vestite, e nel boulevard de Clichy sono quasi preso d'assalto da una serie di robusti giovani che cercano di appiopparmi un biglietto per uno spettacolo sexy, poi anche da una donna magra dai capelli lunghi che vuole adescarmi: rifiuto con calma e li dribblo uno dopo l'altro, come in un videogioco. Ma poi, salendo per la ripida e curvilinea rue Lepic, vedo che l'ambiente ritorna più normale. La sommità (butte) di Montmartre è un posto affascinante, con artisti di strada, pittori e ritrattisti concentrati nella place du Tertre, e un ottimo panorama su Parigi dalla scalinata antistante la chiesa del Sacro Cuore. Indubbiamente è un posto molto turistico, ma sembra avere un'anima autentica. Ceno a un tavolino esterno vicino a place du Tertre, e poi ridiscendo per la scalinata di rue Utrillo. A questo punto vedo un anziano signore che, nel crepuscolo, ha appena finito di chiudere i cancelli dei giardini che comprendono le scalinate centrali, e si ritira in una casetta immediatamente di fianco, dove lo accolgono due enormi gatti.

Il giorno successivo vado a vedere il Trocadero, all'interno del quale visito il Musée de l'Homme, e la tour Eiffel. Quindi consumo il biglietto per un giro panoramico sul bateau-mouche che avevo acquistato in Italia. Poi, pian piano, finisco per fare un gran giro a piedi sulla Rive Gauche, passando dal faubourg Saint-Germain, Montparnasse, e la Sorbona. Montparnasse dovrebbe essere un quartiere caratteristico, ma non mi dice niente di speciale — passo anche dal cimitero che Jacques Brosse attraversava all'alba quando andava a fare zazen col maestro Deshimaru. Lo stesso vale per il Quartier Latin, dove però sono colpito dalla gente che affolla il Jardin du Luxembourg: è sabato pomeriggio, e gruppetti di persone di tutte le età ci vengono per passeggiare, leggere, parlare, formando circoli di sedie per dialogare, con molta naturalezza. Io, che invece sono solo, lo trovo un fatto bellissimo, che in Italia non mi capita di vedere spesso: quanto bisogno avremmo, invece, di parlare, e di vivere più umanamente! Passo ancora dai bouquinistes in cerca di cartoline, e arrivo fino all'albergo a piedi, stanco, camminando per inerzia. Così succederà anche nei giorni successivi; d'altra parte solo andando a piedi colgo la vita e l'atmosfera delle strade di Parigi, che trovo molto più interessanti dei faraonici monumenti.

Domenica esco solo nel pomeriggio, per vedere un parco di periferia intitolato a Georges Brassens. Quando esco dal metrò il paesaggio è sempre il solito: una brasserie, con la gente ai tavolini! Tuttavia siamo vicini ai boulevard esterni. Il parco è pieno di gente e di bambini che giocano allegramente, il che penso che a Brassens non sarebbe dispiaciuto; c'è un suo busto, in un angolo un po' in ombra. Di fianco al parco trovo un vivace mercato di libri usati e un signore che suona jazz da solo con tre strumenti. Più tardi di nuovo a Montparnasse, al Luxembourg che ora è più malinconico, poi nella bella place des Vosges e attraverso il quartiere Marais cercando qualcosa da mangiare, perché tutti i negozi son chiusi.

Lunedì è dedicato a due visite ben precise. La mattina alla Biblioteca Nazionale: per sperimentarne il funzionamento cerco un astruso scritto sulle fusa del gatto, e vengo assistito da un bibliotecario disponibile e professionale. Il pomeriggio al Jardin des Plantes, e in particolare a visitare la Grande galerie del Museo di storia naturale: qui lavorarono tra gli altri Cuvier e Buffon, come attestano diversi monumenti e lapidi. L'esposizione, riorganizzata e riaperta da pochi anni, è bellissima: all'interno del palazzo antico, con arredi di legno massiccio lungo le pareti, ci sono strutture modernissime e molto curate, e accanto agli animali impagliati si trovano pannelli illustrativi, giochi di luci, schermi interattivi e video realizzati con intelligenza, che mi entusiasmano. Sto ancora vedendo un'intervista al biologo François Jacob quando i custodi mi avvertono che il museo chiude. Ceno poi con una gallette (crêpe salata) e del sidro in un rustico e simpatico locale bretone, tenuto da un signore che mentre cucina segue il figlio che fa i compiti per la scuola.

Martedì mi incontro con Paola, e sono felice di parlare finalmente a lungo con qualcuno. Su sua proposta andiamo al jardin des Bagatelles, all'interno del bois de Boulogne, ma per trovarlo camminiamo molto senza poi vedere granché. Dopo aver discusso in un bar dei lavori in corso sulle lontre, facciamo un bel giro per gli Champs Elysées, il faubourg Saint-Honoré e place Vendôme: e così ho visto ormai quasi tutto! La sera torno a Montmartre, che è sempre piacevole anche se il sole dei giorni precedenti non c'è più, e riesco a trovare un locale di mio gusto, non turistico: c'è a servire una simpatica donna dai capelli corti e i jeans, e ceno con uova, pizza al salmone e sidro.

Mercoledì, dopo un giro nel Quartier Latin in cerca di dischi di Brassens, che poi trovo insieme a un raro albo di fumetti di Lucky Luke, vado a Beaubourg, dove ci sono anche Paola e la sua amica. Il Centro Pompidou, costruito vent'anni fa, è un palazzo a vetri che si erge nel centro della città, nel quale si tengono esposizioni e incontri di arte e cultura. Anche se i contenuti mi interessano poco, lo trovo una bellissima realizzazione, molto frequentata dai giovani, dove la cultura vive realmente e non è solo un atteggiamento snob; c'è anche un'ottima biblioteca pubblica con accesso a Internet. Nello spiazzo antistante l'ingresso, un po' pendente, si trovano studenti, capelloni, ritrattisti di molte nazionalità, che incarnano una civiltà veramente libera e cosmopolita. Ad un tratto alle mie orecchie arriva una melodia nota: è "La mauvaise reputation" di Georges Brassens, che un tipo con i baffi e il berretto canta e suona con un curioso organetto a manovella, nel quale fa scorrere una fascia di cartone perforato che determina le note emesse dallo strumento. Mi fermo a sentirlo e più tardi, a mia richiesta, esegue anche "Le déserteur" di Boris Vian. «Vous savez qu'il-y-a une traduction italienne ?» gli chiedo. «Oui, et arabe !» Ecco la cultura degli chansonnier tramandata da questo pittoresco signore nel cuore di Parigi, mentre la gente passa e getta un'occhiata distratta.


Quattro Province 1997

Alle otto mi trovo con Anna a Varzi; la notte prima è andata a dormire alle cinque e mezza, ed è sprovvista di zaino; ma non le manca il carattere. Partiamo da Belnome per fare il giro della val Boreca, procedendo di buon passo, come al solito contando le fatte di faina e di volpe che man mano incontriamo. Tra il ponticello del Boreca e il guado del Rio di Bogli, lei nota al bordo del sentiero una fatta di dimensioni da volpe, ma esaminandola ci accorgiamo che ce ne sono parecchie, concentrate dentro piccole buche del terreno; d'improvviso mi viene in mente: dev'essere una latrina di tasso! È la prima volta che ne vedo una, e sono tutto contento; di fronte, tra le radici di un grosso albero, c'è anche una tana articolata con diverse uscite. Completiamo poi il lungo giro, arrivando affaticati a Pej, mentre lei canticchia cose senza senso. Io resto poi a cenare e dormire all'albergo delle Capanne di Còsola, in questo periodo frequentato da pensionati; dopo cena si gode un gran tramonto sulla val Borbera, con le Alpi sullo sfondo; dall'altra parte, la familiare sagoma del Lésima. La mattina dopo mi viene a prendere Graziella, col cane, e intraprendiamo un giro ancora più lungo, che inizia dal crinale che porta alle Capanne di Carrega. Si trovano tracce, ma non di lupo. Alle quattro del pomeriggio, scendendo per i ripidi tornanti, molto stanchi e assetati, arriviamo al paese di Tàrtago, proprio mentre è in corso una piccola e quasi commovente processione, e il piccolo campanile suona a festa! Perciò, invece di rilassarci, dobbiamo riposarci in un angolino, trattenendo il cane dall'andare ad attaccar briga con i suoi simili. Come nota Graziella, il paesino è bellissimo; a differenza degli altri della val Boreca, i muri e i tetti sono ancora in pietra a vista. L'interminabile giro finisce a Belnome, passando ancora da splendidi angolini.


Calabria e Sicilia 1997

Con l'occasione di incontrare And, che anche quest'anno era in vacanza in Italia, mi sono organizzato un viaggio in treno al Sud; la speranza era soprattutto di visitare la zona dell'Etna, che da parecchi anni mi attira, dopo che avevo visto un documentario in televisione; inizialmente sarei stato ospitato da mia cugina Ivana. Ho tenuto un diario di viaggio, che riporto qui.

Sabato ore 16.50, treno da Roma ad Amantea. Il viaggio è cominciato sotto l'influenza dello spirito dinamico ed esplorativo di Bruce Chatwin, che spesso mi affiora alla mente. Dopo una notte in cuccetta da Milano a Roma, l'incontro alla stazione Termini con Tommaso; per farmi riconoscere appoggio in evidenza sopra il mio grosso zaino il libro "L'istinto del linguaggio" di Pinker. Visitiamo il settore linguistico di una libreria, associando alcune lingue ai nostri corrispondenti "langdevils" che le conoscono; quindi camminiamo verso il centro. Riecco lo specialissimo clima rilassato e popolare del centro di Roma, dove i palazzi storici si fondono con le botteghe aperte sulla strada. Dopo che abbiamo pranzato, mi fa assaggiare il famoso gelato allo champagne di Giolitti; considera alcune fontanelle come luoghi importanti, dove è di rito bere. Simpaticamente mi tiene compagnia fino alla partenza del treno per Amantea, che avviene in ritardo di 40 minuti. È un treno comodo e silenzioso, relativamente lento; mi piacciono i treni che non corrono, per viaggiare. Nel sole del pomeriggio vedo scorrere la bella campagna laziale, con viti e ulivi. Improvvisamente la vista si apre spettacolare sul mare di Formia.

Domenica ore 12.40, Amantea. La "Calabria Saudita", come la chiamava scherzosamente Ferdinando — sottintendendo quel posto sperduto nel Profondo Sud, terra di incivili — è allegra e vivace, piena di gente, mercati e negozi. Amantea conta 15 000 abitanti e ha pure un liceo. Del contrasto fra la realtà e l'idea che ne ha chi la pensa da lontano parlo con Ivana, mentre camminiamo sul bel lungomare.

Lunedì ore 10, treno da Amantea a Catanzaro Lido. La giornata di ieri è continuata con un'escursione alle rovine di un castello sopra Amantea, attraversando la parte vecchia della città, alquanto suggestiva, simile a certi borghi liguri.

Martedì ore 6.45, piazza del Duomo di Catania. And e Marianovella, con Edwin di 20 mesi, sono venuti a prendermi alla stazione e mi hanno portato nella casetta di villeggiatura dei genitori di lei, poco a nord di Catanzaro Lido. Nella veranda della casa, in un clima di vacanza, in mezzo ai giocattoli e alle grida di Edwin e di un altro bimbo, abbiamo avuto tempo e spazio per discutere di liva, del livagiano, un pochino di lojban e così via. Con mio stupore And mi rivela che, discutendo per e-mail, l'ho convinto che i connettivi sono predicati! Questo è per me un onore... «Perhaps the distinction of some "logical" connectives is a matter of tradition...», gli dico mentre si allontana per cambiare il pannolino a Edwin, e lui risponde «yes».

La sera in treno lungo la costa ionica (purtroppo al buio) fino a Villa San Giovanni; poi, anche grazie alle indicazioni di una coppia di ragazzi, trovo subito un traghetto per Messina, semideserto, e poco dopo mezzanotte metto piede per la prima volta in Sicilia. A questo punto c'è il problema di trascorrere una parte della notte in un posto non troppo pericoloso: il treno per Catania partirebbe infatti dopo le cinque. Fortunosamente davanti alla stazione di Messina trovo un bus per Catania, che percorre la stretta statale costiera attraversando tutti i paesi. Devo quindi trascorrere in attesa dell'alba tre ore alla stazione di Catania, sonnecchiando scomodamente e con lo spirito vigile. Ora alle 8.15 dovrebbe partire il bus per Nicolosi e l'Etna; così sembra che, con pochi giorni di viaggio, io sia già arrivato all'ultima destinazione!

Martedì ore 13.05, rifugio Sapienza. Catania è una città vivace, e sarebbe ricca di begli edifici storici, ma è trascurata ed immersa solo nella propria quotidianità di lavori da economia povera. Apprezzo l'efficacia del parlare conciso e diretto dei catanesi. Durante l'ascesa in autobus, un pittoresco zelante controllore con stretta inflessione catanese illustra il da farsi ai turisti stranieri: che cosa ne capiranno? Raggiunta finalmente la parte più alta del percorso, il paesaggio nero che si apre all'intorno è spettacolare. Purtroppo c'è foschia e non si vede il mare. Mi riposo in una stanza del rifugio del CAI e programmo un'escursione per domani.

Mercoledì ore 12.35, Torre del Filosofo: 3000 metri s.l.m., limite del sentiero consentito ai turisti. Sono salito pian piano dai 1900 metri del rifugio fin qui, perlopiù lungo una facile pista percorsa anche da speciali autobus turistici, ma in alcuni punti faticando per la pendenza e per la disabitudine all'aria rarefatta. Lungo l'ascesa ho osservato varie formazioni, come canali di lava, un piccolo tunnel, hornitos, ed ora qui sopra delle piccole fumarole che emettono vapore abbastanza caldo; il terreno in molti punti è tiepido, ed è costituito da una sabbia quasi nera appena sotto la superficie più chiara. Ci sono molti turisti, soprattutto dell'Europa orientale. La Bocca Nuova e il Cratere di Sud-Est sono in attività: emettono vapore in vistose fumate, e qualche lapillo, e si odono delle esplosioni dovute all'uscita del gas. Il Cratere Centrale e quello di Nord-Est sono invece calmi. Prima c'era bel tempo, ma ora che mi sono avvicinato fin qui purtroppo le nuvole nascondono la sommità dei crateri.

Giovedì ore 11.10, stazione di Bologna. Il lungo faticoso viaggio di ritorno comincia con l'allegro arrivederci (o addio?) alle falde nere della Montagna, a bordo dell'autobus che riporta a Catania, sul quale parecchi passeggeri e i conduttori si conoscono fra loro e scherzano; qualcuno convince uno dalla bella voce a cantare due canzoni. Sopra il posto di guida il "non" sulla targhetta è stato coperto, sicché si legge: "parlate all'autista". A Catania riesco ad assaggiare frettolosamente la famosa granita siciliana, e poi mi imbarco su un treno traboccante di popolo, dove riesco a trovare un posto solo insieme a una rumorosa famiglia con due bimbi urlanti. Meno male che a Villa San Giovanni, già sulla via dell'esasperazione, recupero una comoda cuccetta libera. La "Freccia del Sud" risale l'Italia come un tricolore umano, vociante di accenti siculi, romani, toscani. Anche questo fa parte dell'istruttiva esperienza del viaggiare.


Bologna 1997

La sera mi sono fermato a Bologna a casa di Bor, grazie al quale la mattina successiva ho potuto assistere ad una cosa straordinaria: siamo saliti sul campanile della cattedrale di San Petronio insieme ai campanari professionisti, che avrebbero dovuto suonare in occasione della messa dell'Immacolata. Il cuore di Bologna, nella mattina festiva, era ancora poco popolato, ma alcuni altri signori erano confluiti per lo stesso motivo alla porticina a lato della chiesa, determinati a partecipare al rinnovarsi di questa antica tradizione. Arrampicatici per le strette scale fino all'ultimo soppalco, sospeso nel vuoto sulla città, ci siamo disposti su delle semplici panche addossate al muro, inflilandoci dell'ovatta nelle orecchie. Quando è giunto il momento, i campanari si sono disposti in corrispondenza dei grossi manici di legno massiccio che controllano le campane di bronzo; lasciandoli andare, facevano sì che la campana si rovesciasse sul suo peso, per ritornare poi dall'altra parte battendo un colpo dopo un giro di 360 gradi; e con sublime maestria, calmi e padroni nonostante l'enormità dei pesi da controllare, senza mai sbagliare, le facevano suonare tutte e quattro con un ritmo alternato, per diversi minuti. Solo poche persone, dopo anni di esercizio, ne sono capaci. Altro che le scemenze di cui la maggioranza degli italiani è imbottita oggigiorno: questi sì, pensavo, sono degli uomini pienamente realizzati! Lungi dal darsi delle arie o farsi pubblicità, pacati e disponibili, là in cima si concentravano sulla loro arte nascosta, che per il resto di Bologna si traduceva in un suono di campane.


Cechia 1998

Inside the outside
[scritta su un muro di Praga]

Quando al mattino scendo dalla cuccetta, fuori dal finestrino vedo neve che cade sui pini, in un paesaggio di montagna: sembra essere pieno inverno, in Austria; scorgo anche un capriolo che pascola a una ventina di metri dal treno! Ma poi si scende di quota, e le campagne non sono più bianche; quando sbarchiamo a Vienna c'è solo parecchio vento. Dobbiamo raggiungere un'altra stazione, e lo facciamo attraversando in tram la città stranamente vuota — di sabato mattina è sempre così, mi diranno poi; in venti minuti vedo sfilare attraverso i finestrini una bella rassegna di giardini ed edifici monumentali.

Alla stazione Franz Joseph stiamo aspettando il treno per Gmünd, quando ci imbattiamo in tre francesi che viaggiano verso la nostra stessa destinazione. Li avevo già visti al congresso di Pavia nel 1993: sono Lionel, Xavier e sua moglie Marie-Cécile. Con loro condividiamo il seguito del viaggio e qualche biscotto bretone: i coniugi sono simpatici, e insieme ci chiediamo curiosi che cosa ci aspetti aldilà della frontiera ceca. "The Czech Republic is a fully operational parliamentary democracy and the life style is comparable with those of its West European neighbours" dice il pieghevole del congresso: ciononostante si ha l'idea, uscendo dai confini dei paesi che siamo soliti pensare come familiari, di inoltrarsi in una terra ignota. A Gmünd si fermano tutte le carrozze (già piccole e antiquate) tranne la nostra, che viene attaccata a una locomotiva diesel poiché il seguito della tratta non è provvisto di linea elettrica. Due controllori magri e baffuti ci chiedono i passaporti rivolgendosi a noi in una lingua slava... Ed eccoci viaggiare nelle campagne del mondo esterno — anche qui campagne, anche qui alberi e colline simili alle nostre...

Třeboň è una stazioncina sperduta, dove ci viene a prendere l'organizzatore del congresso: è un olandese, dinamico e gioviale, trasferitosi qui per lavorare sulle lontre. "Present day Třeboň, with its 9,000 inhabitants, still exhibits many architectural aspects of its history". La città vecchia, raccolta fra le mura e le porte medioevali, è in effetti abbastanza suggestiva, e tuttavia nettamente separata dai quartieri moderni, fatti di brutti palazzi a parallelepipedo piuttosto sparsi, e dal grande centro termale e di cura: in quest'ultimo eravamo ospitati per il convegno, in una curiosa convivenza fra dinamici zoologi di ogni parte del mondo e anziani signori cechi in vestaglia e con le stampelle!

Il 17 è in programma un'escursione in pullmann; la pioggia limita i movimenti sul campo, ma facciamo comunque qualche visita ad alcuni ambienti del Třeboňsko, la regione circostante Třeboň, caratterizzata da numerosi laghetti creati nei secoli scorsi per l'allevamento di pesce; nonostante che la rete idrica sia di origine artificiale, è un ambiente equilibrato, ricco di vegetazione e di fauna (ci dicono aquila pescatrice, vari mustelidi, e perfino alci!): qui le attività umane coesistono con una densa popolazione di lontre, delle quali troviamo infatti qualche traccia. Il simpatico Aleš ci guida nei punti di osservazione migliori. Più tardi, durante il pranzo in una trattoria, Xavier mi parla della situazione linguistica e sociologica della Francia attuale.

Nel pomeriggio il pullmann ci porta a vedere l'antica città di Český Krumlov, caratterizzata da un grande palazzo fortificato, rialzato sopra le rive della Moldava, il fiume descritto dalle famose note di Smetana, qui ancora piccolo prima di attraversare tutta la Boemia e arrivare a Praga; all'interno di un'ansa del fiume, collegato con una serie di ponticelli, c'è il centro storico della città, lungo le cui vie si succedono palazzetti signorili di stile rinascimentale, variamente colorati e decorati. Piuttosto che cercare il solito bar con i "latinos", preferisco unirmi a Xavier e Marie-Cécile per una passeggiata attraverso i cortili e le rampe del grande palazzo. Con noi rimangono due austriaci.

Al tramonto, insieme ad Aleš e alcuni tedeschi, andiamo ad appostarci in un sito delle vicinanze sperando di avvistare delle lontre che escono a caccia; il mio gruppetto non ha fortuna, mentre gli altri poco lontano ne osservano diverse per mezz'ora di fila.

«Gnoli, you are twenty-nine!» mi viene a dire la Kicca, un po' bevuta, in mezzo al rumore di una piccola discoteca di Třeboň: infatti da pochi minuti è passata la mezzanotte, e siamo entrati nel 19 marzo; Jordi e gli altri spagnoli applaudono e scherzano; Jutta e Arno ballano assai bene, mentre io, Achaz ed altri siamo seduti a un tavolo... Questo il mio compleanno nella Repubblica Ceca. Tornando all'albergo, Jutta mi racconta di aver conosciuto Konrad Lorenz sei mesi prima che morisse.

La mattina del 20, di buon'ora e carico di bagagli, raggiungo affannosamente la stazioncina, da dove passa un treno per Praga. Mi fanno compagnia nello scompartimento due cechi, colti e nel contempo alla buona, che discutono del congresso appena terminato e della protezione degli animali nella Repubblica Ceca. Raggiungo gli zii in un grande albergo situato nell'anonima periferia. Il centro della città, che visitiamo nel pomeriggio e l'indomani, è invece spettacolare come tutti mi dicevano. Quel che è bello delle città ceche, sia Praga che quelle piccole, non è qualche monumento in particolare, ma tutto l'insieme degli edifici, secolari e perfettamente mantenuti; gli abitanti poi sono civili e disponibili verso gli stranieri. Qui nella capitale i turisti sono interi fiumi che percorrono le vie principali, e moltissimi di loro sono ragazzi italiani. I negozi di souvenir abbondano, così come gli spettacoli di marionette e i concerti di musica classica: ma la vocazione culturale di Praga non è ostentata su misura per i turisti; ogni cosa infatti è elegante e curata, evidentemente in quanto la si ritiene importante: dall'incredibile bar-centro informazioni nel cuore del palazzo comunale, a un semplice cartello che si preoccupa di indicare al passante il modo più breve per aggirare un giardino. Splendida poi la libreria Kafka, in un palazzo d'angolo della piazza centrale, con scaffali di legno massiccio e un tavolino per sedersi a leggere! Mi reco anche in un certo negozio per comprare delle bandiere che mi avevano commissionato Andrea e compagni.

Il 21 pomeriggio ci spostiamo in macchina a Český Krumlov, con una sosta a České Budějovice dove ci fermiamo in un classico antico caffè-birreria (pivnice, luogo dove si consuma birra, da non confondere con pivovar, luogo dove la si produce). L'albergo di Český Krumlov è un bellissimo palazzo antico, che si affaccia sulla Moldava e il castello. "Some snow had fallen on the multicoloured roofs of the old town, which now was more quiet and less crowded than during our preceeding visit. It was strange to see those houses, the castle and so on, while staying alone behind a window; although I was well, I felt suddenly homesick for all that people."


Appennino parmense 1998

Questa volta sono riuscito nel mio intento di coinvolgere qualche amico e zio in una vacanza da me ideata. Sono stato tre giorni nell'Appennino parmense, insieme a Pippo, Neri e Alessandro. Abbiamo fatto base al rifugio del CAI in riva al bellissimo Lago Santo, di origine glaciale, alla testata di uno dei rami del torrente Parma; i gestori del rifugio sono stati particolarmente ospitali e simpatici, mettendoci a nostro agio, condividendo con noi cene e aneddoti di montagna, e permettendoci perfino di assistere alle partite dei mondiali di calcio, la sera, attraverso la tv della stazione di comando della seggiovia.

Sabato ore 11.20. Siamo ai 1780 metri del monte Aquila, in una bellissima giornata limpida e fresca. Da qui vediamo, in senso orario: le testate delle valli del Parma, alcune cime vicine a sud e in lontananza l'Alpe di Succiso e il Cusna; le Apuane; il golfo della Spezia; la val Magra con altre cimette sullo sfondo; il crinale dell'Aveto con Penna, Maggiorasca e Groppo Rosso; fra questi ultimi, in secondo piano, il Lésima e presumibilmente il Chiappo; il monte Marmagna qui a nord; la media val Parma con sullo sfondo delle Alpi venete.

Ore 13. Monte Marmagna, metri 1850, con due simpatiche indigene. Gli zii sopraggiungono pian piano, contrariamente ai pronostici.

Ore 16.20. Scesi al rifugio del Lago Santo con una bellissima passeggiata. Siamo ancora in attesa di vedere l'arrivo dei preannunciati "quarantadue genovesi" — finora si stava così bene...

Domenica ore 19, Lago Santo. Nel pomeriggio l'appuntamento a Corniglio con Katia e Patrizia si è realizzato, nonostante i nostri dubbi; la piazza di Corniglio è vivacizzata dal movimento di auto e gioventù, sotto la mole dell'antico palazzo. Tutti insieme per una stradina dissestata e poi a Roccaferrara, vecchio paese con 1 abitante: la signora Maria, che però non c'è. Allora ci fermiamo su un belvedere e Katia ci racconta parte della lunga storia della Frana — una frana immensa di un intero versante, che la strada attraversa sopra Corniglio: ci dice di trafelate evacuazioni di persone e di prosciutti (duecentocinquantamila prosciutti in quattro giorni!), minacciati dalle pietre che si muovevano di un metro all'ora. Ma la cosa straordinaria è che si tratterebbe di un evento periodico: avvenne nel 1902, e anche nei secoli passati ciclicamente, come attestano documenti comunali; penso che deve trattarsi di qualche fenomeno freatico, ma nonostante gli studi la causa non è stata chiarita. Certo è che la periodicità, sebbene riconosciuta, è troppo lunga perché gli omini sciocchi ne tengano conto nel costruire case e stabilimenti, e così ogni volta sono emergenze, sloggiamenti, e perdite economiche per qualcuno, mentre i furbi che ci avevan guadagnato se ne sono già andati.

Più tardi dalla conversazione col gestore del rifugio emerge che la realtà dev'essere più complicata: la periodicità non è così netta, e le variazioni nell'uso e nella gestione dei terreni circostanti da parte degli agricoltori e dei forestali hanno probabilmente contribuito alla ripresa dei movimenti franosi negli anni Settanta.


Marche 1998

Al nostro arrivo ad Ancona ci infiliamo a cenare allo Strabacco, un localino caratteristico del centro; poco tempo dopo Claudia ha già contattato per telefono un amico, Alberto, che ci raggiunge sul posto insieme ad altri tre. Alberto mi dice che il locale, aperto anni fa da gente di estrema sinistra, una volta diventato di moda ha perso anche parte della sua genuinità ed economicità; comunque mangiamo bene. Raggiungiamo poi la nostra stanza d'albergo a Òsimo.

Stamattina, dunque, vediamo per prima cosa il centro di Osimo. Poi in macchina per le colline, che sono pervase da un'ariosa luminosità: sembra non solo dovuta alla bella giornata, ma anche essere una caratteristica intrinseca dell'ambiente. Qui infatti tutto è chiaro: la terra, le case, la pietra di cui sono fatte chiese e palazzi. In mezzo a queste ampie e incantate colline sorge appartato il borgo di Offagna, con la sua rocca medioevale abitata dalle taccole e i suoi vicoli popolati solo da qualche lenzuolo steso all'aria. Più tardi a Sirolo, dove è notevole soprattutto la vista del monte Cònero che sporge nella azzurrissima acqua dell'Adriatico. In cima al boscoso monte, invece, il monastero e il ristorante, fuori stagione, sono chiusi: meglio tornare in macchina a ripararsi dal freddo e dal vento.

A Recanati, piacevole paesone rialzato sulla piana circostante, sono molto interessato dal giro guidato del pianterreno di casa Leopardi; vi si trova soprattutto la ricchissima biblioteca di famiglia in cui studiò il genio solitario; dalle finestre si vede la tranquilla piazzetta, attorno a cui si doveva svolgere la vita della distinta famiglia. Nel tardo pomeriggio giriamo fra i negozi ad Ancona, città non brutta ma che sento resa già un po' anonima dalle sue grandi dimensioni.

Ceniamo poi ad Osimo con gli stessi del giorno prima più altri; quando torniamo all'albergo ha cominciato a posarsi per terra una neve secca: forse l'indomani ci bloccherà?! Al nostro risveglio in effetti il bel panorama si è tutto imbiancato, ma per le strade si può circolare facendo solo un po' di attenzione. Ci conviene però rinunciare al progetto di passare per Camerino e il lago di Fiastra, dove probabilmente la neve è alta. Ripieghiamo dunque per un giro di collina, invece che di montagna, per andare verso Ascoli. Macerata è una cittadina non brutta ma senza particolari attrattive; arrampicata sul suo colle, richiede attenzione per non scivolare sul ghiaccio dei suoi pendenti vicoli. Ci avviamo poi per una vecchia statale che attraversa il Piceno, e facciamo sosta all'abbazia di Chiaravalle di Fiastra, bel complesso romanico costituito da monaci cistercensi; quindi, in cerca di uno spuntino, a Sarnano. Questo grosso paese sconosciuto ci rivela un notevole centro storico di palazzi in mattoni, labirintico e deserto: le masse frequentano solo la parte moderna, da cui si accede a certe località sciistiche. Continuiamo dolcemente a percorrere le colline, le cui pendici verdi e imbiancate vanno lentamente scomparendo nel crepuscolo. È ormai buio quando giungiamo ad Ascoli. Dopo un po' di ricerche (ci sono pochissimi alberghi) troviamo una pensioncina in un vicolo, e più tardi ceniamo finalmente con cucina locale, come speravamo, in un piccolo raffinato ristorante.

Anche se fa sempre molto freddo, questa mattina è ancora una bella giornata limpida: giriamo Ascoli con le sue case poderose di grosse pietre chiare e le sue vie animate. All'ora di pranzo raggiungiamo la famiglia di Simona, in un paese poco distante: metto così piede per la prima volta in Abruzzo. Alle 14 mi avvio per il lungo ritorno da solo; strada facendo dò ancora un'occhiata alla riviera marchigiana, e mi fermo al suggestivo borgo medioevale di Torre di Palme, che mi era stato raccomandato da Raffaele. Dopo un lungo rallentamento in autostrada, farò tappa nella familiare Bologna per mangiare una pizza con Roberto.


Alpi Marittime 1999

Con sotto le scarpe silenzi di alta montagna
[Paolo Conte, Roba di Amilcare]

23. Con Paolo e Alessandro (Fabrizio e Cecilia hanno defezionato all'ultimo momento) per una settimana nelle Alpi Marittime, nel territorio di due efficienti parchi naturali confinanti, uno italiano e l'altro francese.

Ieri da Volpedo a Cuneo, la cui bella piazza è insolitamente deserta: ma poi finalmente troviamo un bar dove assaggiare un marocchino (sorta di cappuccino ristretto). La sera a Entracque, piacevole paese caratterizzato dalle numerosissime fontanelle, dove visitiamo i begli allestimenti del centro visite del Parco, fra cui una mostra sulla recente reintroduzione del gipeto. Vorrei trovare qualche pubblicazione sulla lingua occitana (quelle sulla cultura occitana in genere non mancano).

Oggi prima escursione, al rifugio Genova collocato fra un laghetto naturale e uno artificiale, sotto le pendici del monte Argentera. Sulla via del ritorno parliamo con un pastore sardo che lascia sulle pietre del sale per le sue pecore, e crede che gli ungulati selvatici (in parte reintrodotti dal Parco) fossero scomparsi per la mancanza di sale! («La bestia selvatica è come quella domestica»...) In realtà il sale destinato alle pecore viene molto apprezzato dagli stambecchi, che per leccarselo scendono a quote insolitamente basse per la stagione (come nota Paolo, esperto di ungulati): possiamo infatti osservarli anche a 1650 metri, avvicinandoci a pochi metri senza che loro scappino, tanto sono calamitati dal sale; non lontano osserviamo anche dei più schivi camosci.

24. Lunga e lenta salita da Terme di Valdieri al rifugio Questa, dove pernotteremo per la prima tappa di un giro di tre giorni. Siamo in forma ma gli zaini stipati di provviste e accessori pesano moltissimo! Primo tratto fra conifere e spianate di prati umidi con bucolici torrentelli. Poi ai larici si sostituiscono i cembri e ci si inerpica lungo l'impressionante strada di pietre, costruita per portare a caccia i Savoia e poi risistemata dall'esercito all'epoca della prima guerra mondiale, quando la zona di confine era strategica: si passa anche in una breve galleria nella roccia, fra pietre ossidate in rossiccio e licheni verde chiaro. Osserviamo qualche camoscio che bruca abbastanza vicino a noi. La strada raggiunge poi i suggestivi laghetti di Valscura e di Claus, ormai in mezzo a prateria e rocce. Vediamo ancora tre camosci che Paolo riesce a fotografare bene; si sentono parecchie marmotte, mentre gli uccelli si limitano a qualche lontano gracchio alpino. Arriviamo al rifugio alle 17.30.

26 mattina. Ieri trasferimento in quota al bivacco vicino ai laghi di Fremamorta, ancora lungo una bella strada, perlopiù fra pietraie. Frequenti soste per osservare e fotografare gli aggraziati camosci, dalla bella livrea nocciola chiaro striata di scuro; visto anche un corvo a cui volava attorno un falco (pellegrino?). Tranquilla sistemazione al bivacco (dove la sera arriveranno altri tre); per bere e lavarsi bisogna scendere al lago, come in un racconto ambientato in Scozia... In serata salita (viste marmotte) al colle di Fremamorta, dal quale ci affacciamo alla Francia: Paolo, perlustrando con perizia la valle col binocolo, avvista due mufloni. La sera ci fa visita un ermellino — il primo che ho mai visto!! — che salta tutt'intorno al bivacco forse attirato dall'odore di cibo.

27 sera. Ieri discesa a Terme di Valdieri, osservando nocciolaie e un camoscio morto. Facciamo sempre base alla locanda del Sorriso di Entracque, i cui gestori si rivelano tutto sommato accoglienti e schietti, oltre che ottimi cuochi. Oggi in auto passiamo il Colle di Tenda per vedere la zona della vallée des Merveilles, famosa per le incisioni rupestri preistoriche. Da Mesche saliamo attraverso pinete, entrando nel Parco nazionale del Mercantour. Inaspettatamente troviamo posto per pernottare al réfuge des Merveilles, dove ahimé perdo la mia macchina fotografica. Nel pomeriggio passeggiata fra laghetti e rocce montonate, con avvistamento di due mufloni su una cresta lontana e due gracchi; continuano a non vedersi quasi mai tracce di carnivori (nella zona dovrebbe esserci anche il lupo, arrivato qui dall'Appennino all'inizio degli anni Novanta). La cena nel rifugio, in lunghe tavolate comuni, sembra un refettorio, comunque non spiacevole; noi tre la concludiamo con una grolla.

28. Alle 8 ci avviamo per risalire la vallée des Merveilles. Subito qualche marmotta ben osservabile sotto di noi, mentre bruca vicino alle tane. Proseguiamo lentamente osservando qua e là svariate incisioni: le più frequenti sono pugnali, "corniformi" e rettangoli reticolati, altre più famose figure umane variamente elaborate. Si sale a lato del monte Bego in una gola, il cui scenografico paesaggio poteva suggerire un percorso verso qualcosa di sacro. Ma oltre agli elementi archeologici teniamo d'occhio anche quelli naturali: vediamo gracchi alpini e stavolta anche corallini, e attorno alla baisse de Valmasque finalmente anche maschi adulti di stambecco, con le corna imponenti. 29. Poi lungo ritorno all'auto, attraverso l'arida vallée de Fontanalbe. Lungo la strada una breve sosta a Tenda, che ritrovo sempre pittoresca e vivace, spiando dentro la simpatica crêperie.


Austria 1999

Mi reco a visitare la Konrad-Lorenz-Forschungsstelle für Ethologie di Grünau, un paese nella valle dell'Alm. Qui vennero trasferite molte delle oche selvatiche che erano state studiate a Seewiesen, allorché il grandissimo etologo andò in pensione: egli continuò a lavorare su questa colonia dal 1973 al 1988, un anno prima della sua morte (questi studi sono descritti nel libro "Io sono qui, tu dove sei?"), e la casa settecentesca che ospita il centro è riprodotta nelle foto di alcuni suoi libri! Sono stato invitato a visitare il centro da una mia coetanea bergamasca, Didone, che da quattro anni lavora qui. La trovo sulla porta dello storico edificio, con i capelli corti e una tenuta rustica, e con modi amichevoli e generosi mi mostra il luogo. L'interno è arredato in legno, quasi come un rifugio, e comprende una piccola biblioteca; alle pareti ci sono fotografie del grande vecchio seduto sulla panchina che è tuttora presente di fianco alla porta d'ingresso, ma i ricercatori nel frattempo sono quasi tutti cambiati. Ci tratteniamo nello spiazzo davanti alla casa in mezzo a decine di oche, contrassegnate con anelli colorati alle zampe, che sono confidenti e vengono a mangiucchiarci le stringhe: ecco qui la semplice realtà di questo luogo mitico! C'è anche un corvo, arrivato ieri, che becchetta con curiosità tutti gli oggetti che gli vengono presentati, mentre in una voliera poco lontano sono tenuti due grandi corvi imperiali: una ricercatrice con cui parlo conduce interessanti studi sulle vocalizzazioni associate al cibo in questa specie; più tardi partecipo alla distribuzione del mangime, che gettiamo dai secchi alle oche tutt'intorno a noi. Dopo un giretto con Didone all'Almsee, dove le oche sono solite passare la notte, e una cenetta fatta di zuppa all'aglio e birra, riparto per raggiungere la sede del convegno: il castello di Zeillern, paese fra Linz e Vienna.

Dopo il congresso, con alcuni colleghi, decidiamo di spendere un'ultima giornata girando per la Bassa Austria, arrivando magari fino ad Altenberg, il paese di Konrad Lorenz. Ci fermiamo a Melk, dove si trova una grande abbazia, e poi a pranzo lungo le rive del Danubio, in una regione caratterizzata dalle coltivazioni di mele, pere e uva. Successivamente puntiamo verso Altenberg, che è un piccolo paese alle porte di Vienna; ad un certo punto io, Carlo e Victor perdiamo di vista la macchina di Jutta, e allora ci dobbiamo mettere alla ricerca del paese un po' alla cieca, giacché sulla nostra carta non è riportato. Ma riusciamo a trovarlo grazie al buon senso, e a localizzare la villa della famiglia Lorenz in base alle notizie presenti nella biografia scritta da Franz Wuketits, che ho con me; a quel punto ci raggiungono anche gli altri tre. Non vedendo particolari indicazioni entriamo nel giardino, che è aperto: un uomo che sta raccogliendo mele ci presta attenzione, e poi ci invita a servirci dei frutti che sono stati posati su un tavolo: e così mi mangio una mela degli alberi di Lorenz! Parlando in tedesco con Jutta, l'uomo ci indica una signora sui settant'anni anch'ella vestita in modo campagnolo, dicendo che è una figlia di Konrad (probabilmente si tratta della maggiore, Agnes Lorenz in von Cranach): costei si rivolge a noi molto tranquillamente, e ci invita a spostarci come ci pare! Allora giriamo attorno alla famosa casa, facendo fotografie e spiando un ufficio attraverso i vetri.


Oltrepò pavese 2000

Con Sonia e Luigi a Valverde, conca nascosta e poco popolata dell'Oltrepò dove lui ama tornare appena può, per occuparsi dei conigli e di simili cose semplici e concrete; dal castello di Verde ci fa osservare il panorama su tutto l'Oltrepò e verso la pianura, che appare sovrastata da uno strato fuligginoso: «Quando ero ragazzo c'era già, ma arrivava appena sotto il castello di Montalto...»


Austria 2000

Lunedì, Salisburgo. Faccio un giro da solo per la placida città ordinata: ritrovo le piazze sovrastate dallo strapiombo del Mönchsberg, salgo sul Kapuzinerberg attraversando un bel bosco giusto sopra il centro, e ridiscendendo assorbo la placida aria fra i tetti grigio chiaro ed il flusso del Salzach. Sono poi ormai affezionato ai viali pedonali e ciclabili lungo il fiume, con le panchine e i composti ronzii delle biciclette che sfilano veloci, spostandosi dal centro ai quartieri residenziali come il Lehen dove sono ospite, nel maestoso scenario.

Venerdì, Vienna. Ieri mattina passeggiata attraverso i vialetti del Mönchsberg, meno selvaggi del Kapuzinerberg ma anche questi tranquilli e silenziosi appena sopra il centro: vedo anche uno scoiattolo; arrivo poi alle poderose mura e ai cortili della cittadella (Hohensalzburg). Nel pomeriggio trasferimento in treno a Vienna. Raggiungiamo la casa di amici dove dormiremo, vicino all'animata e internazionale Mariahilfer Straße. Monumentale nell'ostentazione della potenza degli Asburgo, tutta di bianchi palazzi barocchi e ampi viali affollati, ordinata ma anche assai turistica, per ora Vienna non mi dice granché. Mi lasciano al Museo dell'esperanto, visto che mi incuriosisce: in realtà non sono che un paio di stanze sperdute nello Hofburg, annesse a una sezione interlinguistica della Biblioteca nazionale. Poi come al solito cammino a lungo da solo per le vie e le piazze.

Sabato, Vienna Pötzleinsdorf. Ho imparato che la salvezza sta nell'insegna di una marca di caffè italiano, la quale corrisponde a dei bar dove si può bere un vero espresso: questo mi ridà energie mentali per trasferirmi in tram a Pötzleinsdorf, un sobborgo ai piedi delle colline dove si trova la residenza degli studenti di agraria. Con Silvia su due biciclette scassate percorriamo salite e discese verso Grinzig, un altro sobborgo dove si trova uno dei suoi Heuriger preferiti: un locale dall'arredamento rustico ma molto caldo e curato, dove si può mangiare e bere birra oppure il vino novello dei colli circostanti, sulle prime pendici del famoso Wienerwald. In più occasioni la mia ospite manifesta il suo apprezzamento per l'atmosfera rispettosa e pacata che contraddistingue la vita anche nel centro di Vienna: in effetti sono gli stessi motivi per i quali anche a me piace particolarmente questa civiltà.

Domenica, Grünau im Almtal. In treno mi sposto a Wels, da dove parte un locale formato da una sola carrozza e guidato da un sorridente signore in camicia: attraversa lentamente una zona di campagna per giungere infine a Grünau.

È stata la generosità della Fondazione Cumberland a decidere del luogo dove sarebbe sorto il centro dedicato alle oche, e la sua forma particolare: la valle dell'Alm, nell'Alta Austria, si può dire che non sia mai stata contaminata dalla maledizione della civiltà. Essa comincia dal lago di Alm, ai piedi della Montagna Morta, dove nasce l'Alm, piccolo e impetuoso corso d'acqua montano. A circa otto chilometri a valle, in un luogo dove il fiume si allarga, l'ingegner Hüthmayer ha disposto una serie di stagni che circondano degli isolotti abbastanza grandi sui quali le oche possono covare in pace. L'impianto si adatta in modo perfettamente armonioso allo splendido paesaggio che lo circonda, ed è riservato esclusivamente alle nostre ricerche. Sulle rive degli stagni sorgono tre capanne, piccole ma riscaldabili, nelle quali i collaboratori incaricati di curare le oche possono alloggiare durante l'estate. Abbiamo battezzato questa piccola colonia di uomini e di oche con il nome di Oberganslbach. A pochi chilometri di distanza, sempre nella valle, si incontra la casa del Centro di ricerche, un grazioso vecchio mulino, l'Auingerhof, [...] dotato di tutte le attrezzature necessarie: camera oscura, ufficio, stanze per gli animali, ecc.
[Konrad Lorenz, Dialoghi con l'oca selvatica]

Nel pomeriggio Didone mi mostra il campo di Oberganslbach: qui ogni anno due ricercatrici fungono da "mamma oca", vivendo per tre mesi nei capanni a contatto continuo con alcune delle nuove covate per "imprintarle" sull'uomo; noi chiacchieriamo invece col simpatico Jonathan, che per condurre una serie di osservazioni occupa un altro capanno, nel quale da classico inglese ci offre un tè. Ritorniamo poi alla sede dell'istituto, lo splendido posto che già mi è caro, con lo spiazzo davanti alla casa che dà verso le argentee acque dell'Alm, e il tavolo di legno grezzo attorno al quale vanno e vengono i ragazzi che stanno lavorando qui, interessati a sapere chi sono e disponibili a parlarmi dei loro studi. Più tardi accompagno una ricercatrice che porta da mangiare ai corvi imperiali nel vicino parco faunistico, e giro fra voliere e recinti che ospitano fauna degli ambienti alpini, attratto da puzzole, lupi, orsi e cervi molto più che dalle specie esotiche degli altri zoo. Lungo il ritorno sosta di tre ore a Innsbruck, per vedere il centro storico fittamente decorato con le caratteristiche finestre a sporto e mangiare un ultimo pasto austriaco.


Lario 2000

Ieri sera a Varenna con Carlo e Monica, che tengono una conferenza sugli studi sul tasso nella zona, nella minuscola sede della locale associazione naturalistica; il pubblico è formato da persone simpatiche, che dimostrano la concretezza e l'amicizia che si trovano solo nei paesi: con alcuni restiamo poi a bere qualcosa in un bar sul lungolago, mentre un forte vento fa sbattere le verande e le barche ancorate nell'acqua buia; trovo che il paese sia particolarmente suggestivo, come già lo ricordavo.


Pavese 2001

Mercoledì è il giorno in cui, dopo la solitudine di questo primo periodo, alcune vecchie conoscenze mi aiutano a cominciare a sentirmi più a casa al Moriano. Francesco Barbieri ha infatti scelto proprio i dintorni della cascina per un'uscita del suo corso di zoologia applicata, e io mi unisco al gruppetto di studenti che sono venuti con lui: ci mostra la tana di tasso di cui mi aveva già parlato Giuseppe, e poi raggiungiamo la lanca del Moriano, dove si possono osservare uccelli acquatici e vegetazione tipici degli ambienti fluviali; c'è anche un surreale boschetto di bambù piantato decenni fa. Barbieri si muove agilmente sul terreno e ci fa notare anche molti particolari della geomorfologia e dell'uso del suolo: fra Bereguardo e la lanca, ad esempio, ci sono delle rare marcite ancora in attività, fra le quali svolazzano numerose pavoncelle. Verso le 16 comincia a nevicare, e temo che questo possa mandare a monte la cena di zoologi pavesi che ho combinato da me per proprio per quella sera. Ma fortunatamente quasi tutti coloro che avevano aderito riescono poi ad arrivare ugualmente. [...]

Arriva la primavera; ho portato una bicicletta al Moriano, e finalmente lunedì posso provare ad andare al lavoro pedalando: i 10 chilometri sono lunghi da fare, ma la stradina lungo il terrazzo alluvionale è adatta al mezzo; mi compro poi un lucchetto da un curioso ciclista di Pavia, che mi sconsiglia di comprare da lui una pompa quando posso invece farmi gonfiare le gomme con la sua.


Appennino reggiano 2001

Dopo il traffico dei paesi più vicini alla pianura, la strada comincia a farsi piacevolmente libera e curva — non soltanto in senso orizzontale ma anche in verticale, ché il terreno dell'Appennino è sconnesso di sua natura, per quanto spesso lo si ricopra di nuovi strati d'asfalto. A destra dell'auto si apre a tratti l'ampio greto dell'Enza, blu d'acqua e verde di vegetazione della primavera. Ma la strada intanto comincia a salire verso sinistra, per abbandonare questa valle e passare in quella del Secchia: ripassano così davanti ai miei occhi i paesi, le porte dei bar, le curve già percorse negli anni precedenti. Eccoci sboccare sulle case di Bismantova, sparse per ampio tratto in mezzo alle colline, e affiancate dall'inconfondibile ed assurda sagoma a parallelepipedo della Pietra, quella che vedi da ogni direzione per un raggio di decine di chilometri. Oggi il capoluogo della valle è stato ribattezzato, con grafia dall'influsso toscano, Castelnovo ne' Monti.

Di qui proseguiamo per la statale del passo del Cerreto, che poco dopo prende a salire decisamente di quota con una sequela di tornanti. Col tempo buono, il panorama del tramonto è bellissimo: oltre la dorsale del Cusna (il gigante sdraiato, secondo l'interpretazione tradizionale dei suoi lineamenti), ancora chiazzata di bianco dalle nevi più tardive e reticenti, si scorge in fondo l'autorevole cono del monte Cimone. Il salone del solito ristorante, coi suoi tavoli chiari di legno massiccio, ci aspetta per rifugiare la nostra serata, prima degli impegni di domani.

 

Lo spazio di ghiaia davanti alla sede del Parco, ieri silenzioso e freddo, si è riempito di auto e di persone che si vanno raccogliendo vicino all'ingresso. Nadia e Alessia sono sedute su un gradino, ancora assonnate ma pronte come d'abitudine: l'una magra coi lunghi capelli ricci che scendono dal volto ovale di espressione mutevole, l'altra più pasciuta e tranquilla. I cacciatori le apostrofano per reclamare qualcosa, Nadia risponde con una battuta, un altro vocione da dietro prende in giro un cacciatore con qualche parola in un dialetto pieno di /e/. Ci sono anche i gruppetti di studenti di Parma e di Pavia, e qualche loro amico: i nuovi si guardano attorno con visi un po' intimiditi in mezzo a questo movimento.

Ecco Willy, che finora era schizzato dentro e fuori occupatissimo, sistemarsi con un fascio di fogli in mano in un punto dove può essere visto facilmente ed accingersi a prendere la parola. Il corpo magro e il volto giovanile sono compensati dall'energia e dalla decisione del suo fare. Per prima cosa chiama tutti vicino e conta le persone. Quindi, immediato e lucido, comunica: «Siamo quarantatré persone. Pertanto oggi possiamo fare tre battute...» Dà poi disposizione di riempire le auto e formare una colonna, per ritrovarsi al vicino paese di Nismozza. Firmerà i libretti dei cacciatori solo dopo ciascuna battuta. La gente si raggruppa nei fuoristrada, nelle Panda e nei pickup bianchi del Parco, e in qualche altra auto privata. Con moderata confusione ci si avvia.

 

Nel pomeriggio, dopo la prima giornata di censimenti, un gruppetto è rimasto pigramente sistemato attorno al tavolo di legno davanti all'entrata; altri sono andati in casa a farsi una doccia, o a comprare qualcosa in paese, mentre i cacciatori sono tornati a casa. Chiedo a Nadia della lupa che hanno trovato in febbraio e alla quale hanno applicato un radiocollare. Era in una zona sopra Ligonchio, non lontana dal paese, dove qualcuno aveva innescato dei lacci per catturare cinghiali. Una telefonata anonima li ha avvertiti che in uno di quei lacci era rimasto imprigionato un animale "più grosso di una volpe". Willy e Nadia si sono precipitati là, con un veterinario. La bestia era malconcia, disperata: era rimasta lì dalla notte precedente ed ora era pomeriggio. È stata però facilmente calmata con del sedativo. Una bella femmina. Prima di lasciarla andare le hanno attaccato l'apparecchiatura, che avrebbe permesso di raccogliere ogni giorno preziosi dati sugli ambienti nei quali si sposta. Nei giorni successivi è venuto da Pavia Enrico a provare le radio, ed ora si sta lavorando regolarmente per sfruttare questa occasione fortunata. Due anni fa le catture programmate non avevano avuto successo, anche a causa del ritardo dovuto alle contestazioni legali di alcune associazioni ambientaliste reggiane.

 

Per arrivare a Civago, la domenica mattina di buon'ora, ci vuole un lungo trasferimento in auto attraverso Castelnuovo e Villa Minozzo. Il paesino è arrampicato sulle pendici del Cusna, in un versante appartato dalle vie di comunicazione e coperto quasi solo da estesi boschi. Salendo per la val d'Asta si vedono a un certo punto degli spettacolari affioramenti di rocce stratificate, lunghi centinaia di metri. Finalmente siamo arrivati, puntuali: nella piazzetta sono già parcheggiati vari fuoristrada e ai lati si riconoscono capannelli di studenti e cacciatori. In uno c'è Willy.

Come ogni anno, per fare l'Abetina Reale c'è troppo poca gente. Così, sul momento, Willy decide per la versione ridotta dell'area, già prevista. Sale in piedi sul muretto con le schede in mano.
«Le poste che darò adesso non devono camminare. Quindi le dò agli "invalidi"...» I cacciatori più anziani e meno agili, ma esperti nel riconoscimento degli animali, si avvicinano sperando di risparmiare fatica, guadagnando comunque il punteggio a cui hanno diritto in quanto partecipano alle battute. Più punti, maggiori diritti di scelta dei capi da abbattere, nelle zone di caccia esterne al Parco.
«Poste che camminano poco... Poste che camminano...» Willy si guarda attorno, trova le facce delle persone di cui si fida di più o che hanno conoscenze adeguate a ricoprire ciascuna posizione, e attribuisce i ruoli dando in mano ad ognuno la scheda con il numero della posta corrispondente. Le persone rimanenti faranno i battitori. Le aree le conosce perfettamente, avendole percorse a piedi una per una, marcate con banderuole di nastro blu, mappate, delimitate e misurate sulle carte. Ogni area omogenea di una certa tipologia (ceduo di faggio, fustaia di faggio, castagneto, ecc.) costituisce un campione della tipologia stessa, dalla quale si possono quindi estrapolare stime numeriche della consistenza delle popolazioni di ungulati che la abitano in tutto il Parco.

«Scusate, attenzione! Le poste dalla 5 alla 12 salgono con la Nadia su quel pickup...» Ci sono compreso anch'io: monto sul cassone, sul quale trovo anche Filippo, una ragazza che non conosco e tre cacciatori. Quando tutti i ruoli sono attribuiti, Nadia sale al posto di guida e partiamo, separandoci dagli altri. Il grosso fuoristrada risale una lunga sterrata, che si fa via via più sassosa e accidentata, inoltrandosi nel profondo di un vasto bosco di faggio e abete bianco — la famosa associazione originaria dell'Appennino che qui si è ben conservata. Ogni due o tre curve, a intervalli di un centinaio di metri, il veicolo si ferma e lascia scendere una posta, alla quale Nadia dà un paio di indicazioni sommarie prima di ripartire. Si procede possibilmente in silenzio, per spaventare il meno possibile gli animali che si trovassero vicini. Ecco il mio turno di piazzarmi, la posta 11: è un tratto di strada in leggera pendenza, dal quale posso vedere una zona di terreno fra gli alberi.

Rimango da solo nel bosco silenzioso, o meglio animato da voci di uccelli e stormire di fronde, sui quali devo sintonizzarmi in modo da distinguere eventuali rumori diversi, che potrebbero annunciare la presenza di qualche animale. Esamino il tratto di strada che posso vedere, a sinistra e a destra, e cerco la posizione migliore per tenerlo d'occhio costantemente; le poste contigue, che non posso vedere ma di cui so la presenza, dovrebbero controllare i tratti adiacenti senza lasciarsi sfuggire alcuno spazio non coperto. Naturalmente non è possibile essere completamente certi che non sfugga nulla: ma si attua la migliore organizzazione di cui si è capaci, contando sull'impegno di ciascuno. In altre regioni, ciascun osservatore è incaricato di guardare solo alla propria sinistra, mentre la parte destra è coperta dall'osservatore successivo: ma Willy preferisce non adottare questo metodo, perché pur essendo più accurato richiede il doppio delle persone e quindi consente di lavorare solo su aree più piccole. A questo punto si tratta di aspettare, mentre le altre poste e il fronte dei battitori si dispiegano: so che è quello che sta avvenendo, ma non ne ho percezione, perché l'area è grande e quello che io vedo è solo il mio tratto di bosco.

Restare fermi, tranquilli e vigili, tenendo presente che potrebbe sbucare da un momento all'altro un capriolo o un cinghiale, da vedere e riconoscere in pochi secondi: ogni volta mi trovo a paragonarlo a un esercizio di meditazione, che libera la mente e sviluppa la concentrazione e l'attenzione. Una nostra forma appenninica di spiritualità.

Saranno partiti, adesso? Controllo la carta riprodotta sulla scheda, cercando di valutare le dimensioni e il tempo necessario perché tutti raggiungano i loro posti. A un tratto arriveranno, procedendo il più possibile allineati a distanze regolari, tenendosi in contatto a voce e rompendo la mia solitudine suggestiva. Intanto il mio compito è vigilare.

«...Ohp, ohp, ohp...» Eccoli, si avvicinano: comincio a sentire le voci, le urla e i battiti di rami che fanno per spaventare gli animali presenti e indurli a scappare verso le poste. Ma il fronte procede molto lentamente, per non rompere l'allineamento nonostante le distanze e le irregolarità del terreno.
«Feeermii!» si grida, passando l'ordine giunto dai vicini. Questa parte del fronte si deve fermare perché in qualche altro punto si è rimasti indietro o si stava rompendo l'allineamento. Ai due estremi del fronte ci sono Nadia e Alessia, che comunicano per radio la situazione con Willy, piazzato nella zona centrale; fra gli altri battitori, agli inesperti e meno disciplinati dovrebbero essere alternate persone fidate, che contribuiscano a coordinare e dare istruzioni ai loro vicini. «Krr... Alessia mi senti? Passo.» «Willy, noi siamo fermi.» «Okay, ripartiamo per altri 50 metri.»
«Avaanti piaanoooo!! Passate parola!»
«Avanti piano!!»
E così per lunghi minuti. Finalmente scorgo qualcuno: è Filippo, oltre a lui c'è un signore giovane. Arriva Alessia che mi fa segno di unirmi al fronte di battuta. Man mano che il fronte chiude il perimetro, le poste vanno a infittire il fronte dei battitori.
«Canovi, ce n'hai uno a destra!» Sento un po' di trambusto a poca distanza, di scatto mi guardo intorno ma non vedo niente. «Eccola, è una sottile!» dice qualcun altro. «È uscita a destra.»

Siamo arrivati alla strada sterrata, d'un tratto è tutto finito. Le persone si ritrovano lungo la strada, incamminandosi.
«Visto qualcosa?»
«Niente, ma vicino a me parlavano di una lepre.»
Chi ha avuto occasione di registrare qualche animale sulla propria scheda la porta a Willy, il quale intanto in breve tempo ha già raccolto le testimonianze di quasi tutti e su una scheda sta facendo dei rapidi conti. «Dovremmo avere cinque caprioli e un gruppo di tre cinghialetti... Trebbiani, lei ha visto quello che è passato a destra di Canovi? Poteva essere una femmina?...»

Di nuovo sul cassone di un pickup, il primo che si ha vicino, alla rinfusa si torna in giù. Com'è lunga questa sterrata, non me la ricordavo all'andata.

Gli splendidi boschi mi scorrono davanti, senza vetri fra loro e i miei occhi; spesso si vede un rio la cui acqua abbondante salta fra le rocce grigie. Si cerca di molleggiarsi per evitare i colpi al sedere, quando Alessia supera tratti dissestati senza rallentare più di tanto; e all'altezza della testa arrivano fronde verde chiaro di faggio che sporgono sulla strada.


Quattro Province 2001

Domenica vado ad esplorare un posto del mio Appennino che da molti anni mi aveva incuriosito, avendolo visto soltanto sulle carte e sentendo che era del tutto sconosciuto agli zii: la piccola valle del Pentemina, che scorre da est a ovest confluendo nello Scrivia a Montoggio; non è chiaro nemmeno se vi si trovi una strada asfaltata! Portandomi in auto anche Neri e Claudia, che intanto rievocano come fanno spesso persone ed avvenimenti di Volpedo, Tortona e Gavi, risalgo dalle Capanne di Carrega e sbocco a Torriglia, dove ci compriamo da mangiare in un negozio di alimentari dall'atmosfera degna di trent'anni fa. Da Torriglia, scavalcando un crinaletto, si arriva nella valle dalla sua testata: per la prima volta si aprono sotto i miei occhi gli stretti versanti, occupati da fasce terrazzate un tempo coltivate, boschi e solo qualche frazione. Péntema, il paese più importante, è effettivamente bello come prometteva il suo mito; era chiamato "dai tetti d'oro" perché, come ci spiega nel bar un abitante, i tetti delle case oggi ristrutturati erano realizzati con paglia strettamente intrecciata, avanzo delle faticose coltivazioni; oggi d'inverno ci rimangono 25 famiglie (o 25 persone?), che per mantenere vivo il posto hanno inventato un presepe che ricostruisce scene della vita dell'Ottocento. Tra le frazioni ci sono vecchie mulattiere, in una situazione molto simile a quella della val Boreca. La strada di fondovalle in effetti è asfaltata solo in parte, e per giunta in queste settimane non è percorribile. Ci sono dunque ancora luoghi del genere da scoprire...


Marche 2001

Per tenere uno dei soliti corsi a Camerino e poi a Jesi, raggiungo in auto le Marche: passo per l'altopiano di Colfiorito, dove ai bordi della strada contadini locali vendono patate rosse, lenticchie, cicerchie e farro. Seguendo il consiglio di Raffaele, faccio una puntata nell'alta val Nerina fino a Castelluccio di Norcia, che sorge su un rilievo in mezzo allo spettacolare paesaggio deserto di tre insoliti altopiani e delle vette dei monti Sibillini. Camerino è una cittadina di epoca comunale allungata su un colle, animata dal richiamo onnipresente delle taccole e dagli studenti della piccola università, che rendono l'atmosfera simile a quella di Urbino. Ma l'aspetto migliore della regione sono i panorami ondulati riempiti da campi e vegetazione in ogni direzione.

Jesi è una città sorprendentemente vivace, piena di traffico sui viali e di gente che si saluta sul corso principale, con quartieri popolari nell'articolato e scrostato centro storico.


Finlandia e Svezia 2002

Alle porte del cosmo
che stanno su in Germania
[Eugenio Finardi, Musica ribelle]

Il 13 agosto mattina, dunque, partiamo dal Moriano per il viaggio in Finlandia, con la mia solida Opel Corsa carica di borse e di provviste alimentari, che abbiamo comprato a un supermercato con l'intenzione di portarcele dietro per risparmiare sull'alto costo della vita dell'Europa settentrionale. Alloggeremo, per una settimana ciascuno, in due appartamentini che abbiamo a disposizione grazie ad un circuito di scambio di multiproprietà. Sulla base della loro ubicazione e dell'eccellente guida "Lonely planet", ho predisposto un itinerario che ci dovrebbe portare là in auto in circa cinque giorni: abbiamo di fronte ben 3700 chilometri, ma siamo disposti a quest'impresa un po' folle.

Dopo aver dormito in un bel motel a Rimberg, dalle parti di Kassel, a metà del secondo giorno entriamo in Danimarca, dove ci accoglie un cielo ampio e luminoso. Ho scoperto solo di recente che, grazie alla costruzione di grandi ponti sospesi fra le isole danesi, è ora possibile arrivare in Svezia senza prendere alcun traghetto, e ho scelto questa opzione che semplifica il viaggio. Effettivamente in breve e senza formalità, a parte il pagamento di un pedaggio, ci ritroviamo sullo spettacolare ponte che collega le isole di Fionia e Zelanda, con sotto di noi città, navi e poi mare blu per parecchi chilometri. Verso sera siamo ormai all'altezza di Copenaghen, e grazie alle indicazioni di un cuoco italiano finiamo per trovare un albergo a prezzo ragionevole proprio nel centro della capitale; la sera perciò, in cerca di un locale per cenare, passeggiamo per le strade del centro, piene di insegne ricche e di giovani disinvolti — fisicamente i danesi ci sembrano i più belli e fini, rispetto agli altri nordici e ai tedeschi massicci. Anche l'indomani, prima di ripartire, facciamo un giro per i viali trafficati di gente che va al lavoro, molti in bicicletta, muovendosi in modo dinamico e civile. Fra Copenaghen e Malmö c'è l'altro spettacolare ponte battuto dal vento, incredibilmente poco trafficato, che ci introduce in Svezia. Qui troviamo campagne ampie, e un'atmosfera disciplinata e pacata: gli automobilisti cedono spontaneamente il passo a chi li raggiunge spostandosi in un'apposita corsia sulla destra! Che differenza con l'aggressività egoista degli italiani...

Nel primo pomeriggio raggiungiamo Göteborg, dove sono ansioso di incontrare Philip che per posta elettronica si è subito reso disponibile a vederci e ad ospitarci una notte; prima però decidiamo di concederci una passeggiata nel centro, animato da molta gente, e ci riposiamo sulla riva di un canale in mezzo a giovani di varie etnie dal fare rilassato. Ci sono anche parecchi disabili in sedia a rotelle, che possono fruire della vita pubblica senza inibizioni grazie alla cura, da parte delle civiltà socialdemocratiche nordeuropee, di strutture a loro adatte — che da noi invece sono solo una moda recente, più retorica che realmente radicata nella cultura.

Dopo aver dormito sul divano di Philip e fatto colazione con lui, ripartiamo per risalire la Svezia attraverso Karlstad, Falun e Gävle. Attorno a noi intanto scorrono foreste e case di legno rosse, e la guida fra i saliscendi e le curve della strada risulta divertente. Dopo una sosta per pranzare con i nostri viveri, a Kopparberg Lori nota una chiesa di legno, e ci fermiamo per guardarla: si rivela in effetti un capolavoro, soprattutto nei ricchi interni tutti di legno massiccio lavorato, che producono una bella atmosfera raccolta, conservata così fin dal Seicento. Ci fermiamo per la notte in un bungalow di un campeggio trovato oltre Sundsvall. La lunghissima costa baltica è percorsa da una larga strada, sulla quale il traffico è rado e le città si susseguono solo a lunghi intervalli, prendendo nome dalle foci dei fiumi sui quali sorgono: Umeå, Skellefteå, Piteå, Luleå... sul lato sinistro soltanto il margine di foreste che sembrano estendersi indefinitamente.

Raggiungiamo finalmente la frontiera, e quasi senza accorgercene ci troviamo nel territorio di Tornio, in Finlandia: restano solo 280 chilometri alla nostra meta. Rapidamente mi impadronisco delle nuove varianti della segnaletica stradale e dei limiti di velocità; le strade lapponi si snodano in mezzo al semplice paesaggio di una foresta di pini silvestri rada ma ininterrotta. Alla cassa di un'area di servizio a Tervola, dove sostiamo per fare benzina, odo per la prima volta uomini dall'aria simpatica parlarsi in quella lingua esotica e affascinante, di cui finora ho solo letto la trascrizione nei nomi dei campioni di rally, negli scritti dei glossopoeti tolkieniani e nei racconti di Paasilinna. Oltrepassata Rovaniemi e quindi il circolo polare artico, seguiamo le poche indicazioni che abbiamo e con un po' di fatica troviamo Pyhä, la località in cui sorgono le casette di villeggiatura di legno appartenenti al complesso turistico del quale usufruiamo.

Scaricate le cassette di provviste e installatici nella bella casetta, l'indomani cominciamo ad esplorare i dintorni, camminando per strade sterrate quasi deserte ai margini delle pinete, non lontano da alcune strutture utilizzate soprattutto per gli sport invernali. Qualche volta incontriamo anche delle renne che brucano placide, facendo crepitare il suolo con le loro zampe pelose; questi animali, allevati allo stato brado e riuniti una volta all'anno con grandi raduni tradizionali, sono diffusi in tutta la Lapponia, tanto che guidando occorre fare attenzione a non investirne qualcuno.

Dedichiamo un giorno ad un percorso escursionistico nell'adiacente parco nazionale di Pyhätunturi, che attraversa bei boschi su sentieri ben allestiti con centinaia di metri di scale e passerelle (tutto in questo paese è fatto con il legno!); pranziamo in riva a un laghetto (lampi) dove è a disposizione un riparo con tanto di legna per il fuoco e accetta; dopodiché intraprendiamo la salita del sassoso rilievo Noitatunturi, dal quale si vedono all'intorno ampi spazi di foresta e fasce acquitrinose. Completato infine l'anello, ci concediamo una birra al tranquillo bar accanto all'ufficio turistico.

Nei giorni successivi ci rechiamo in auto in qualche località relativamente vicina: Sodankylä, dove visitiamo la galleria di un pittore locale, le rive di un fiume e un supermercato; e soprattutto Inari, centro di cultura lappone altri 200 chilometri più a nord, al margine sudoccidentale del vastissimo lago Inarijärvi: la solitaria strada lo costeggia in uno splendido tratto curvilineo, permettendo di scorgere isolotti alberati nella luce pomeridiana. La cittadina spaziosa e sparsa ha in realtà poco da mostrare, ma acquisto un adesivo da applicare sull'auto per ricordare questa meta veramente settentrionale; poi visitiamo il grande museo dedicato alla vita tradizionale del popolo sami, dai caratteristici tratti somatici che ricordano quelli degli gnomi, e al suo ambiente: un diorama fra gli altri mostra nella tana il mio animale preferito, il poco conosciuto ghiottone, del quale apprendo peraltro che preda le renne in un modo assai crudele. Ci riavviamo verso casa fermandoci per la benzina a Ivalo, moderna e fornita di tutti i servizi ma anch'essa di atmosfera rarefatta.

L'ultima attrazione nelle vicinanze di Pyhä è una miniera di ametista, che raggiungiamo a bordo di un buffo trattore con rimorchio verniciato di lilla e poi a piedi con una brava guida del posto. In questa occasione conosciamo un capofamiglia spagnolo, che ci consiglia i giri in barca sulle rapide di Ruunaa, vicino alla regione dei laghi dove passeremo la seconda settimana. Compiamo quindi la giornata di trasferimento, sostando nella città di Kuusamo e poi in un punto lungo la strada dove inaspettatamente scorgiamo un campo costellato da una schiera di centinaia di spaventapasseri: li ha allestiti un artista, vestendoli con abiti veri di ogni tipo e intitolando l'opera "The quite people". A sera giungiamo finalmente a Tahkovuori, altra località gradevole ma costruita solo con funzioni turistiche, dove sorge un grande albergo circondato da casette di villeggiatura; questa volta alloggeremo in un appartamentino all'interno di uno chalet.

Questa regione della Finlandia centro-meridionale, il Savo, è un po' più vivace rispetto alle solitudini lapponi, e oltre a boschi e laghi è occupata anche da insediamenti agricoli, con case colorate e mucche pascolanti a ridosso delle strade principali. Le cittadine che con lunghi trasferimenti in auto andiamo a vedere, però, ci appaiono piuttosto deludenti: in particolare Nurmes, dove di speciale si trova solo un parco con residenze di legno in stile careliano. Anche a Lapinlahti e Iisalmi, il giorno successivo, non troviamo proprio niente da ammirare.

Andiamo allora a cercare Ruunaa, l'area rinomata per l'escursionismo e la canoa che si trova in Carelia quasi al confine russo. Lungo la strada sostiamo a Lieksa, dove visitiamo un gradevole museo all'aperto di abitazioni rurali; troviamo poi il posto, e lì facciamo due passi lungo passerelle di legno che portano a punti per pescare, e riusciamo a prenotarci per un giro in barca l'indomani. Vicino a Nurmes passiamo dal villaggio di Saramo, segnalato dalla "Lonely planet" per via di un percorso escursionistico: c'è un bel locale familiare chiamato Casa dei Pescatori che funge da bar-ristorante, negozio di alimentari e ufficio postale, tenuto da una signora simpatica che ci serve due birre; alla parete vedo una pelle di lontra, una di visone e un lupo imbalsamato. Il dolce angolo con un ponticello, le betulle, due pecore e i cani della casa sarà fra quelli che ricorderemo più volentieri. Alcuni collegamenti nelle vicinanze sono su ottime strade sterrate, e mi permettono di divertirmi per qualche minuto facendomi un'idea del tipo di guida caratteristico del leggendario Rally dei Mille Laghi.

Il giorno successivo ci facciamo trovare nel luogo previsto, dove una guida di poche parole ci conduce a una barca a motore, nella quale troviamo posto insieme a una quindicina di altre persone, perlopiù finlandesi. Abbiamo così modo di osservare il paese da un punto di vista più caratteristico: dentro l'acqua, fra rive circondate da betulle e pini; di tanto in tanto lungo la superficie placida si incontrano delle piccole rapide, che il barcaiolo supera con tranquilla maestria, offrendoci qualche emozionante spruzzo. Dopo oltre un'ora di questa esperienza ci si ferma ad un campo sulla riva, per un pranzo gustoso e di sapore molto finlandese: würstel cotti sul fuoco e salmone affumicato; l'atmosfera rustica, con gli uomini che chiacchierano pacatamente, mi piace molto, e appagato dal cibo ascolto il suono della loro lingua, pieno di /k/ e /a/, che si rivela più gutturale di quanto immaginassi.

A una cinquantina di chilometri dalla nostra casa c'è anche una città più grande, Kuopio, dove in due riprese passiamo qualche ora e vediamo il noto mercato nella piazza centrale; qui acquisto la specialità gastronomica della zona: il kalakukko, una forma di pane di segale farcita di pesci, tutto sommato non così appetitosa.

Si riparte quindi per il ritorno: durante l'ultima giornata finlandese ci spostiamo a Turku, città antica sulla costa occidentale, da cui salperà la nave-traghetto per Stoccolma che avevamo prenotato. Nel poco tempo che abbiamo, dopo aver cercato un ottico, apprezziamo il clima della città animata da studenti universitari. Dopo una lunga attesa sulle corsie del porto, entriamo con la nostra auto nel gigantesco palazzo galleggiante, nel quale trascorreremo la notte in una cabina. Quasi non ci si accorge di stare viaggiando sul mare; un intero piano è occupato da un vero e proprio centro commerciale, affollatissimo di passeggeri!

Sbarcati senza alcuna difficoltà a Stoccolma di sabato mattina presto, troviamo la capitale svedese semideserta e con tutti i negozi chiusi. Girando con l'auto vediamo i grandi e un po' severi palazzi in riva all'acqua, quindi ci avviamo verso sud. All'ora di pranzo sostiamo a Vadstena, cittadina storica con un'importante abbazia e un castello in riva a un lago, in una giornata molto ventosa. Nel pomeriggio l'autostrada scorre via facilmente mentre parliamo; così per la sera siamo già a Malmö e superiamo il ponte che riporta in Danimarca. Il primo albergo che troviamo per la notte è in una zona piuttosto grigia di periferia.

Ormai è fatta: l'Italia si riavvicina, e sostiamo ancora a Ulm della quale facciamo in tempo a vedere il bel centro, pieno di gente e di elementi culturali in confronto alla solitudine del Nord. La sera siamo ritornati senza danni nel traffico barbaro di Milano.


Dolomiti friulane 2003

Per la settimana di escursioni nelle Dolomiti friulane, ho appuntamento con gli altri partecipanti di Trekking Italia a Cimolais, un bel paese tranquillo, non lontano dalla grande frana che 40 anni fa fece tracimare il lago di Vajont con disastrose conseguenze. È la prima volta che ho occasione di esplorare questa interessante regione italiana. Per raggiungere il rifugio Pordenone, dove alloggeremo, bisogna risalire la val Cimoliana, percorsa da una suggestiva strada sterrata lungo un torrente azzurro, fra pareti rocciose e tratti di bosco. Mentre io, avendo l'auto, la uso per trasportare bagagli e qualche partecipante, la maggior parte degli altri sale a piedi insieme alla guida

La vita in un rifugio affollato (c'è anche una comitiva di ragazzi del CAI) richiede di adattarsi alle code per i bagni, agli orari della colazione, a tenere tutte le proprie cose in un angolo di una camerata; ma offre anche momenti molto piacevoli, come l'indugiare seduti ai tavoli esterni dopo la giornata di escursione, le cene conviviali con buon cibo, il clima scherzoso fra i letti a castello prima di addormentarsi. Il tempo trascorso a stretto contatto ci porta a chiacchierare raccontandoci ciascuno la propria vita e magari i propri pensieri, in un momento di stacco dalla vita quotidiana che aiuta a ricaricarsi. Le escursioni sono abbastanza impegnative, presentando dislivelli attorno ai 1000 metri, ed io patisco le salite all'inizio della giornata, anche per effetto del caldo che pure a queste quote continua a imperversare: in genere perciò rinuncio ai tratti facoltativi a più alta quota, in ambiente roccioso fra le spettacolari guglie delle Dolomiti, in mezzo alle quali si avvistano facilmente gracchi alpini e corvi imperiali; mentre poi nella discesa recupero una buona forma e mi godo i tratti boscosi, che tutto sommato preferisco. Il luogo più caratteristico è lo sperone torreggiante chiamato Campanile di val Montanaia, meta di arrampicatori e ritratto in fotografia in ogni bar; ma tutte le convalli sono indubbiamente apprezzabili, soprattutto per l'estensione del territorio naturale non abitato; constato però che questo ambiente alpino esercita su di me un'attrazione emotiva minore di quello appenninico che sono solito frequentare. Maggiori spunti di interesse trovo, nel giorno di riposo che mi concedo insieme a qualcun altro, nello stile delle abitazioni e della vita dei paesi della zona: come Erto, nella cui parte vecchia sono allineate case di pietra in parte abbandonate; e Claut, di impianto moderno e aspetto austriaco, che offre in un museo un notevole panorama della dura vita tradizionale, talvolta ambientata in una cjasa da fumm, così chiamata perché priva di camino e quindi sempre invasa dal fumo del focolare.


Occitania e Catalogna 2005

Est-ce trop demander, sur mon petit lopin
plantez, je vous en prie, une espèce de pin,
pin parasol de préférence,
qui saura prémunir contre l'insolation
les bons amis venus fair' sur ma concession
d'affectueuses révérences.

Tantôt venant d'Espagne et tantôt d'Italie
tout chargés de parfums, de musiques jolies,
le mistral et la tramontane
sur mon dernier sommeil verseront les échos
de villanelle un jour, un jour de fandango,
de tarentelle, de sardane...

[Georges Brassens, Supplique pour être enterré à la plage de Sète]

Arrivo verso le 11 a Sète, dove ho pensato di fare la prima tappa, associando un po' di turismo al viaggio per il congresso. Per me è soprattutto la città di Georges Brassens, oltre che di vaghi ricordi di viaggio di Mamma e Papà prima che io nascessi. Sorge fra la laguna di Thau, un'altura e il mare, allo sbocco di canali navigabili, e si presenta quindi ariosa e particolare, solcata da ponti mobili e grandi gabbiani, nelle vie del centro popolare e pragmatica come un porto ligure, tutt'altro che elegante o turistica, ad eccezione di qualche bar sul canale centrale. Girare per le sue piazzette alberate e viuzze in salita è comunque piacevole e interessante.

Al Cimetière marin un avviso artigianale indica, evidentemente dopo migliaia di domande in merito, che Brassens non è sepolto qui ma al cimitero di Le Py, in un sobborgo vicino alla spiaggia chiamata Corniche. Già che ci sono vado anche là, e trovo che vi è stato aperto un piccolo museo dedicato all'artista: in una sala vengono proiettate continuamente delle riprese ravvicinate tratte da un suo concerto, e con emozione posso vedere per la prima volta la sua persona in movimento sul muro di fronte a me. Sul registro dei visitatori prima del mio nome scrivo semplicemente "une affectueuse révérence". Al vicino cimitero, la sua tomba nel terreno è assolutamente ordinaria, condivisa con altre tre persone fra cui la sua compagna di origine baltica; ma allontanandomi noto che la si può distinguere perché, in corrispondenza di essa, la sequenza dei cipressi è interrotta da un piccolo pino: un garbato riferimento alla canzone che lo lega a questo luogo.

È ancora pomeriggio e ho tempo di portarmi avanti prima di cercare un posto dove pernottare: percorro la striscia di litorale fra Sète e Agde, attraverso il trafficato centro di Béziers, quindi imbocco una bella strada fiancheggiata da platani in direzione di Carcassonne, in mezzo alla campagna vinicola della Linguadoca, intersecata ripetutamente dal Canal du Midi. L'indomani, dopo un fulmineo esame delle famose fortificazioni di Carcassonne, zeppe di negozi per turisti, decido di raggiungere Barcellona attraverso un itinerario pirenaico. La strada risale la valle dell'Aude, progressivamente più stretta e selvaggia, con tratti rocciosi molto suggestivi. Dopo chilometri di curve, ad un tratto si sbocca in una zona molto più aperta di vasti altipiani, solcando i quali si raggiunge in breve tempo la frontiera con la Spagna. Lì, di fretta per il pensiero di raggiungere in tempo l'albergo prenotato, mi procuro un panino di jamon ibérico in un negozio di alimentari. Il versante catalano è decisamente più spoglio e meno selvaggio, e una superstrada mi rovescia rapidamente verso il caos della grande città.

L'albergo si trova in una posizione centrale molto conveniente, in una tranquilla piazzetta frequentata da studenti fra le Ramblas e plaça de la Universitat. Posso così cominciare a farmi subito qualche impressione della città, passeggiando a caso per rilassarmi e sgranchirmi. La folla che passeggia mi fagocita subito: una marea umana occupa continuamente i viali alberati delle Ramblas da plaça de Catalunya fino allo sbocco sul lungomare, colonizzati da venditori di uccelli e altre mercanzie e artisti di strada simpatici e originali. Barcellona, nonostante le dimensioni e il traffico, si presenta molto viva, dinamica ed equilibrata, alternando palazzi e prospettive sontuose di sapore parigino agli stretti e popolari quartieri vecchi e alle ariose spianate in vicinanza del porto turistico e della spiaggia di Barceloneta. Un carattere forte e nobile che resta impresso.

Il congresso si svolge nei tre giorni successivi in un anonimo palazzo universitario nel quartiere più moderno dell'Eixample, non lontano comunque dalle Ramblas. La maggioranza dei partecipanti è di lingua spagnola o catalana, idioma che mi risulta abbastanza comprensibile, con una simpatica fonologia a mezza strada fra il piemontese e il portoghese.

Riaccendo la mia macchina e riparto in direzione della Francia, stavolta usando le autostrade costiere per non impiegare troppo tempo. Dormo in un motel francese e l'indomani riprendo il viaggio verso l'Alvernia, dove è programmata la mia prossima tappa. Nell'avvicinarmi attraverso le gole del Tarn, selvagge ma meno spettacolari di quanto immaginavo leggendo le guide. Le strade statali si susseguono scorrevoli e sinuose per gli altipiani del centro del paese, attraversando varie cittadine (mi fermo a pranzare a Langogne). Solo dopo Le Puy il traffico diminuisce e trovo ambienti che mi si confanno nella valle della Dore, che digrada dolcemente a nord verso Clermont Ferrand.


Slovenia 2006

Eccoci passeggiare per i giardini del castello di Miramare, poi inerpicarci in auto fra i paesi del Carso triestino, in un bell'ambiente di vigne e minuscoli paesi (Prosecco, Sgònico, Rupingrande); mazzi di frasche agli incroci segnalano la via per le cantine che vendono vino. Trovato un alloggio a Opicina, dedichiamo il pomeriggio a Trieste, dov'ero stato solo all'età di dieci anni. Le vie formate da palazzoni severi e il vecchio centro decadente ci deludono un po', mentre indubbiamente belli sono il luogo della chiesa di San Giusto, e un grande caffè antico dove la gente si incontra a conversare. Per cenare raggiungiamo Muggia, ultimo paese sul mare prima del confine, anche questo di vaghe memorie familiari; oltre alle trattorie sul porticciolo, molto belle e ben tenute sono le vecchie vie in salita: anche qualche locandina dà l'idea di un paese ancora vissuto e curato dalla gente.

Il terzo giorno ci avventuriamo in Slovenia. Superata quasi senza formalità la frontiera, ci troviamo ad attraversare una regione ondulata boscosa e agricola, con pochissimi paesi. Rinunciato a visitare le famose grotte di Postumia=Postojna e quelle pare ancor più belle di Škocjan, ci piace molto la zona del lago stagionale di Cerknica, attorno al quale giriamo lungo una piacevole strada sterrata: vegetazione palustre, un paese su un isolotto dove si sta lavorando con i trattori, altri borghi con un ramo di vite che circonda tutta la casa, dove riusciamo a prendere un vero caffè all'italiana...

Ripresa la marcia, raggiungiamo Lubiana, dove prendiamo una stanza in una "pensione" in realtà non certo economica. Il pomeriggio e la sera giriamo il bel centro, con la piazzetta dominata da una chiesa e affacciata sul curioso ponte triplo sul fiume, e le vie della "rive gauche" che curiosiamo scattando fotografie. Tutto è tranquillo e facile, il traffico ordinato e civile, e l'ambiente mi ricorda quello austriaco. Il giorno successivo decidiamo di dirigerci verso nord passando per la cittadina medievale di Škofja Loka, e poi attraverso un passo montano raggiungendo il lago di Bohinj, più interno e meno turistico di quello celebre di Bled (che sfioreremo soltanto), dove pranziamo all'aperto con delle trote dallo squisito sugo all'aglio. Altra breve tappa per vedere il grazioso e tranquillo centro di Radovljica, poi rapido trasferimento a Kranjska Gora, località di villeggiatura sciistica nei pressi dei confini italiano e austriaco. Molto bello un laghetto di acqua azzurrissima dalla battigia popolata di girini neonati. Di qui, seguendo i consigli della "Lonely planet", intraprendiamo salita per la spettacolare strada alpina del passo di Vrsic=Maistrocca, per discendere dall'altra parte nella valle del Soča=Isonzo. Quando è ora di cercare un alberghetto siamo a Bovec, dove molti sportivi della domenica stanno ritirando gommoni e kayak per riavviarsi verso Austria e Germania: a tavola ci fanno aspettare molto ma i prodotti locali (il pane, il lardo affumicato, l'olio...) sono squisiti. Il ritorno in Italia avviene attraverso il valico di Kobarid=Caporetto, anch'esso paese grazioso. Indugiamo per le frazioni della valle del Natisone e a ora di pranzo arriviamo a Cividale.


Spagna settentrionale 2007

La prima tappa è a Nîmes, in Provenza, dove in un piccolo appartamento vive la cugina insieme al suo fidanzato, un tranquillo enologo alverniate. Passiamo tutti e quattro una piacevole serata. La mattina li salutiamo e facciamo quattro passi nel centro, dove riesco finalmente a trovare una raccolta di DVD della serie francese del commissario Maigret con Bruno Cremer.

Ci avviamo quindi per il lungo attraversamento della Francia in direzione ovest, per le scorrevoli autostrade ai piedi dei Pirenei; come al solito, preferisco guidare quasi sempre io, mentre Caterina mi aiuta con l'atlante e la gestione degli scontrini per il rimborso spese. Superiamo quindi i trafficati nodi dei Paesi Baschi e, giunta ormai l'ora di cena, cominciamo a cercare un alberghetto, che troviamo infine a Liendo, lungo la rocciosa e boscosa costa atlantica di Cantabria.

L'intenzione è vedere qualcuno dei posti più interessanti della Spagna settentrionale, ma anche osservare la gente e i luoghi facendo qualche tratto fuori dall'autostrada. A Santander visitiamo la cattedrale, nel cui chiostro incontriamo una mostra di manoscritti, e percorriamo il lungomare urbano che mi ricorda quello di Barcellona: anche qui tutto sembra piuttosto dinamico e ordinato. Nel vicino villaggio di Santillana del Mar camminiamo per le vie del borgo antico, architettonicamente interessante ma purtroppo già artefatto in funzione del turismo di massa.

Le distanze sono considerevoli e non c'è tempo di fermarsi anche a Oviedo: imbocchiamo così l'autostrada per l'interno, che attraversa spettacolari e deserti tratti montuosi. Planando verso l'altopiano della meseta il paesaggio diventa più ampio e arido; svincoli di recente costruzione ci conducono facilmente al centro di León, dove possiamo prendere possesso della nostra stanza d'albergo.

La prima passeggiata nel centro, nella luce gialla del tramonto sulla pietra chiara dei palazzi del centro, ci rivela una piccola città assai bella e vivace: come è d'uso in Spagna, a quest'ora la gente si riversa nelle vie per incontrarsi, parlarsi, fermarsi a prendere un aperitivo, in uno spirito che vado conoscendo anche attraverso i film di Almodóvar, e che trovo un ottimo equilibrio tra modernità e socialità o meglio umanità, insomma ciò che anche l'Italia dovrebbe cercare di essere invece di crogiolarsi in una passività edonista che la sta portando ad una inconsapevole decadenza.

Alla cena sociale del congresso nell'antica Collegiata di Sant'Isidoro fa seguito, un po' come a Salamanca, una visita a un locale con musica da ballo: la simpatia accogliente di León non poteva essere sancita più chiaramente. Fuori dal locale le ragazze della segreteria del congresso scherzano, e ne incoraggio una nel proposito di cantare insieme ad un'amica l'inno cittadino!

L'ultimo giorno di congresso preferiamo anticipare la nostra partenza per avere il tempo di fermarci qualche ora a Burgos, altra città antica di grande interesse artistico soprattutto per la sua cattedrale gotica; l'atmosfera mi cattura però un po' meno di quella di León. Dalle ondulazioni della meseta l'autostrada oltrepassa il valico roccioso di Pancorbo per riportarsi verso i Paesi Baschi e la Navarra.

Decidiamo di tornare in Francia dall'interno, per la statale del passo sopra Roncisvalle, che riusciamo ad imboccare dopo qualche difficoltà con la segnaletica della tangenziale di Pamplona. I paesi alti sono solo piccoli centri rurali, ma abbondano di alberghi per i pellegrini del Cammino di Santiago. Si ripassa in Francia non solo senza più dogane, ma addirittura senza alcun cartello che chiarisca dove si trovi il confine di stato.

Mentre comincia a piovere ci fermiamo a cenare e dormire in un alberghetto francese; no, non siamo ancora nel Béarn, mi risponde la padrona, ma nei Paesi Baschi: si mangiano infatti ancora carni condite con pimenton e salumi atlantici. La mattina compriamo l'occorrente per dei panini a Sauveterre de Béarn, e andiamo ancora a vederci il centro di Pau, prima di entrare in autostrada. Raggiunta la Provenza, seguiamo il consiglio di Laura di prendere la nuova autostrada per Gap e rientriamo in Italia da Briançon.


Galles 2013

Trasporto le mie due pesanti borse alla Paddington Station, dove parte il treno che in circa tre ore mi porterà a Cardiff. Il paesaggio oltre il finestrino, dalle aree urbanizzate dei sobborghi occidentali di Londra, cambia gradualmente in piccoli centri residenziali e scorci di campagna, fra i quali per la prima volta scorgo campi separati da muretti in pietra.

Oltre Gloucester si comincia a costeggiare le rive erbose del largo estuario del Severn, dall'acqua marrone e attraversato da due grandi ponti, che si allarga poi a formare il Canale di Bristol; il cartello della stazione di Severn Tunnel Junction è completato dalla postilla "Croeso i Gymru / Welcome to Wales", in quanto in questa nazione del Regno Unito tutta la segnaletica è bilingue; evidentemente la C iniziale di Cymru "Galles" diventa qui una G per qualche fenomeno fonotattico impensabile nelle lingue non celtiche! [la mutazione consonantica, come mi confermerà Ceri]

Alla stazione di Cardiff, dall'aspetto provinciale, cambio per salire su un trenino diesel diretto a località dai nomi ancora più esotici: vi salgono famiglie con bandiere di ritorno da qualche incontro di rugby [in effetti dalla sfilata della squadra di calcio locale che festeggia la promozione nella Premier League] e bande di ragazzi locali in uscita domenicale, fra cui un'elfica biondina dal viso meraviglioso. Si risale la valle del Taff, di cui si vedono a tratti le belle acque abitate da gabbiani, cigni e altri uccelli. Scendo a Trefforest, sobborgo residenziale al di sopra del quale sorge il campus principale dell'università, formato da un complesso di edifici di varia forma e collocazione; risulta un po' complicato individuare l'ingresso e quindi, con l'aiuto di un gentilissimo studente di ritorno da un'attività sportiva, inerpicarsi fino all'ufficio che gestisce gli alloggi, uno dei quali è prenotato a mio nome.

Finalmente posso sistemarmi nella stanza, parte di un appartamento peraltro vuoto e dotato anche di una cucina. Oltre la finestra si vedono passare radi studenti — non pochi di etnia cinese — e sopra i tetti del campus la verde collina sul versante opposto della valle. Ho trovato a Londra un adattatore per le prese elettriche britanniche e ho delle password con cui posso connettere il mio portatile, che ho dovuto portare con me, alla rete wifi del campus, così posso accedere a Internet e tenere i contatti con l'Italia. Il primo giorno è un "bank holiday" che posso trascorrere ad esplorare gli immediati dintorni. In una mezz'ora raggiungo a piedi, per vie a mezza costa fiancheggiate dalle casette unifamiliari, il tranquillo centro di Pontypridd, caratterizzato da un ponte settecentesco, dove posso fare un po' di spesa e pranzare.

 

Le sere che Doug resta a dormire in albergo a Cardiff, scendiamo insieme in città nel tardo pomeriggio sugli ormai familiari trenini locali, ci teniamo compagnia passeggiando per l'arioso centro o la risistemata Cardiff Bay e ceniamo in qualche locale. Per il resto, il tempo si è fatto uggioso e negli altri orari non ho che da rimanere nell'alloggio lavorando al computer o portando avanti letture, cenando con gli svariati cibi imbottiti da asporto in uso nel Regno Unito e pensando a come spendere il weekend libero nei limiti consentiti da piogge e trasporti pubblici.

 

Grazie alle informazioni raccolte da Internet ho programmato un giro nel parco naturale di Brecon Beacons, meta escursionistica nella zona. Alla stazione degli autobus di Pontypridd, raggiunta a piedi, trovo la corriera giusta per le cittadine più a nord di Merthyr Tydfil, Brecon e Newtown. Dopo la sosta a Merthyr Tydfil lasciamo le superstrade per una strada in una zona rurale, sempre con bei corsi d'acqua fra rive erbose, con pecore che pascolano qua e là. Ai lati si ergono appunto i versanti abbastanza ripidi dei Brecon Beacons, colli coperti solo dalla brughiera che sfiorano i 900 metri nel Pen y Fan, il punto più alto di tutta la Gran Bretagna centro-meridionale. Il tempo ancora piovigginoso mi consiglia però di non scendere alle fermate intermedie nel parco, del resto consistenti in poche case e punti di osservazione o partenza per le escursioni, ma arrivare fino al centro di Brecon. Questo si rivela in effetti grazioso e vivace, essendo fra l'altro il giorno di un mercato mensile al coperto dove produttori della zona propongono i loro ortaggi, carni, dolci: scambio due parole con una giovane mamma che mi invita ad assaggiare il suo succo di mela. Oltre a visitare il centro informazioni dove acquisto un CD di musica tradizionale gallese, una buona libreria dell'usato, qualche negozio e le vie principali non c'è molto da fare, anzi bisogna ripararsi in una tavola calda dall'ennesimo acquazzone. Ad ogni modo la curiosità della zona è soddisfatta e spendere la giornata fuori dal campus mi ha fatto bene.

 

Doug ha poco tempo ma oggi scendiamo insieme a Cardiff per un'ultima cenetta, in un locale libanese che al piano di sotto è anche un parrucchiere. Sul trenino di ritorno sbaglio stazione e mi ritrovo a Pontypridd; invece di farmela a piedi decido di prendere un taxi pronto lì davanti. Il giovane conducente di colore per passare il tempo stava leggendo un libretto prestatogli da un collega su "Come cambiare la tua vita in cinque mosse" e ci scherziamo su; si informa da dove arrivo, mi spiega che questo campus è specializzato in studenti stranieri (ecco perché vedo tutti quei cinesi) e per simpatia mi fa lo sconto.

 

Il tempo è finalmente soleggiato, anche se sempre variabile, e decido di spendere il resto della giornata a Cardiff, che Doug mi aveva consigliato di vedere di giorno nell'orario di apertura dei negozi. In effetti le vie del centro sono vivaci e ariose, anche se con architetture perlopiù moderne; vedo l'esterno del castello e l'ampio parco adiacente dove i gallesi si rilassano o fanno esercizio fisico, il nuovo Millennium Stadium dove si giocano partite di rugby, con piastrelle e mosaici che celebrano le squadre nazionali, il mercato coperto e i passaggi (analoghi a quelli parigini) fiancheggiati da negozi originali, come quello specializzato in storia e modellismo dei trasporti pubblici. La passeggiata dei giovani si svolge soprattutto lungo la pedonale e alberata Queens Street, con negozi di musica e video. Di là riprendo il mio ormai familiare trenino.


Alpi Orobie e Marittime 2013

Dal lavoro raggiungo Paolo e Laura a Premana, il grosso paese nelle Alpi lecchesi centro dell'artigianato di forbici e coltelli, dove ero già stato con lui per il rito popolare dell'Epifania. Questa volta puntiamo ai tiir, canti tradizionali eseguiti in occasione delle feste degli alpeggi. Alloggiamo in un alberghetto nel centro storico che, come tutto qui, è anacronisticamente semplice e umano. La mattina il tempo è piovoso, ma riusciamo a salire all'alpe Barconcelli senza bagnarci troppo. Non sapevamo di dover essere muniti di una pentola per ritirare la nostra part, grossa razione di minestra di riso, lesso e fagiolini: siamo gli unici forestieri, ma in diversi ci vengono in aiuto. Aspettiamo in un locale comune mentre una compagnia di giovani scherza, gioca alla morra e accenna canzoni che anche le due bambine piccole conoscono con gusto: un'umanità sana e naturale altrove persa; in un'altra casa veniamo invitati a bere, nel rumore di canti sguaiati mi trovo seduto di fianco ad una giovane tranquilla, si appoggia al mio ginocchio per chiamare qualcuno e mi rendo conto che comunica solo a gesti. Iniziano canti collettivi modernizzati e capiamo che il bello verrà più tardi, così Paolo accetta l'invito di un padrone di casa mentre Laura ed io, che l'indomani devo tornare al lavoro, scendiamo.

Una decina di giorni dopo sono alla festa delle leve di Vernante nelle Alpi Marittime. Qui alla messa del mattino si radunano gli appartenenti alle classi che quest'anno compiono 19, 20, 25, 30, 35 anni ecc., fino a un 95enne e una villeggiante centenaria. Ognuna si identifica con una bandiera italiana con stemma e una maglietta o un fazzoletto al collo o un cappello, e ognuna ha assoldato un duo tradizionale di clarinetto e fisarmonica: questi, anche loro di diverse età, vengono convergendo ad aspettarli fuori dalla chiesa, nella via centrale del paese. All'uscita le leve dell'anno vengono rapidamente presentate al resto della cittadinanza, quindi sfilano accompagnate dalla musica fino al vicino santuario della Madonnina della Valle, dove si dispongono per una fotografia collettiva che inquadrerà centinaia di persone. Finalmente si comincia a sentire il suono delle curente: una coppia di novantenni le balla con invidiabile perizia, circondata e applaudita dalla gente; quindi i gruppi più numerosi e attivi partono ciascuno con la sua curenta dei coscritti, festoso girotondo con un convergere al centro che si ritrova nella nostra piana; il girotondo al contempo si sposta in avanti lungo la via, e così i gruppi si avviano agli aperitivi e i pranzi, ognuno per suo conto. Li osserviamo insieme anche agli amici del Ballatoio arrivati da Genova in camper. Troviamo uno dei pochi bar liberi per pranzare, ma anche qui arriva il gruppo dei ventenni, in maglietta verde con lo slogan "+ spritz - spread" sulla schiena, e uno di loro invita Ilaria a fargli da dama: non sa di essere incappato in una vera esperta, capace tuttavia di riconoscere di aver percepito la maggiore naturalezza dei ballerini del posto, abituati a fare il loro passo senza aver seguito nessun corso, mentre nel folk per quanto ci si impegni "balliamo in stampatello". Le curente riprendono nella via centrale nel pomeriggio e si protrarranno fino alla notte.


Carpazi occidentali 2014

La prima tappa è Graz, bella città austriaca che si trova a metà strada e che non ho mai visto: arrivo a tarda sera nell'albergo di una catena moderna che riesco a trovare anche rivolgendomi a una pizzeria da asporto: il gestore è italiano e mi dice che in effetti l'albergo è giusto lì avanti!

La mattina mi concedo una passeggiata nel centro storico, tra belle vie in pendenza ancora semivuote essendo domenica. Quindi mi avvio con calma sull'autostrada per Vienna, ondulata e fiancheggiata da piacevoli paesaggi boscati. Una volta decifrati correttamente tutti i complessi svincoli della tangenziale, la strada verso nord entra in spazi aperti e occupati solo da qualche pala eolica, e presto si riduce a una corsia. Pioviggina e ciò rende la guida un po' più faticosa. Al confine ceco occorre procurarsi anche il bollo adesivo (vignette) per le autostrade di quel paese, cosa che riesco a fare presso una negoziante che non parla inglese ma è gentile. Appena passato il confine, ormai senza dogana, mi fermo a mangiare il mio panino nelle vicinanze di certi laghi. Si deve arrivare quasi nel centro di Brno per prendere l'autostrada in direzione est, peraltro piena di rattoppi di asfalto che provocano sobbalzi. I cartelli segnalano ostinatamente solo le località ceche, compresa l'oscura cittadina di confine, come se al di là non esistesse più nulla. Ma in effetti la direzione è corretta: si attraversa un vallone e con forti salite e ridiscese in rettilineo si entra in un territorio prativo che è la Polonia! All'autostrada per Katowice preferisco la strada più diretta, anche questa piena di rattoppi, fiancheggiata da alberi, centri abitati e persone ferme o in cammino: la cattolica Polonia appare molto più viva, colorata e popolosa che i suoi confinanti. D'improvviso compare sulla banchina un'enorme, inquietante testa sorridente di Wojtyła, che in effetti è nato qui vicino. Si confluisce con la strada che scende dai Tatra per avviarsi fra corsie e semafori verso il centro di Cracovia. C'è traffico, d'un tratto sembra di essere finiti in periferia, invece si arriva a passare la Vistola oltre la quale appaiono le architetture del centrale castello di Wawel. Esploro i viali alberati e chiedo informazioni a passanti, che con disponibilità mi aiutano ad arrivare nella zona dell'albergo suggeritomi dal presidente, centralissimo e di stile novecentesco.

Il primo giorno di congresso si tiene nel Collegium Novum, uno degli edifici centrali di questa università di origini medievali. Ci si arriva attraversando l'enorme splendida piazza divisa in due dal mercato coperto degli artigiani e chiusa da mille palazzi eleganti. Studentesse biondine in tenuta elegante sono dislocate sullo scalone per indicare la via all'aula magna, dove alcuni docenti tengono i saluti di rappresentanza mentre noi partecipanti cominciamo a riconoscerci e salutarci. Seguiranno le relazioni ad invito e una visita al Collegium Maius, dove si trova il museo dell'Università con cimeli legati a Copernico e altri scienziati, ma anche la palma d'oro di Cannes e il leone d'oro di Venezia vinti e poi donati dal regista Andrzej Wajda... Nei giorni successivi il congresso si sposta negli ampi e moderni e edifici dell'istituto di scienze dell'informazione, che si raggiungono dal centro con un lungo ma efficiente percorso in tram.

Con qualche consiglio sulle mete slovacche datomi alla fermata del tram da Jiři, mi congedo e mi appresto a riprendere i miei itinerari. Ora mi dirigo a sud, in direzione della nota località invernale di Zakopane, che però evito per entrare invece in un altro paese nuovo. Le strade curvilinee della Slovacchia fiancheggiano il fiume Orava o prati con qualche mucca, attraversano tranquilli paesi con gente semplice, perfino due donne anziane che indossano un fazzoletto in testa. Sto raggiungendo i fianchi dei Bassi Tatra nei quali è ambientato il romanzo "Il vento sull'erba nuova", che mi aveva alquanto suggestionato da ragazzo e che di recente ho ritrovato e riletto. Ružomberok è una cittadina industriale, ma piegando a sinistra nella valle del Váh il paesaggio diventa più bello e la strada è incorniciata da due filari d'alberi simili a meli. Eccomi a Liptovský Mikulaš, che si rivela un piccolo centro placido nel cui centro pedonale, formato solo da due vie disposte a L, chiacchierano mamme e giocano bambini, mentre io penso al macellaio che nella storia aveva aggiogato il cagnone di Juro!

Si tratterebbe ora di raggiungere l'altro versante della catena, sul quale abitavano i protagonisti. Ci sono stradine che portano a bucoliche località di villeggiatura e sport, ma non passano oltre. Infine un automobilista dai baffoni bianchi in sosta con la sua classica Škoda mi conferma che la strada per Brezno si dirama un po' più avanti. Imboccatala, entro nella zona montana occupata solo da qualche villaggio, che stranamente è costruito proprio nell'incavo del fondovalle invece che sui versanti come in Appennino: sarà un modo di ripararli dalle valanghe? Fatto sta che i tetti sono alquanto inclinati. È ora di cercarmi un alloggio per la notte, ma le pensioni segnalate lungo la strada in questa stagione sono chiuse: l'unica possibilità è un albergo moderno, meno suggestivo e già occupato da una comitiva di scolari, che comunque si rivela comodo. Dalla finestra c'è una piacevole vista sul paese e il pendio di fronte. Riparto di buon'ora superando un passo: sulla strada si incrocia solo qualche grosso camion carico di legna e dei mattinieri operai forestali intenti a ripulire la banchina con il braccio meccanico di una ruspa. Nel paesino di Mýto pod Ďumbierom (dunque già alle pendici dello Ďumbier, il monte che sovrasta i luoghi della vicenda) c'è aperto un bar alquanto spartano: niente brioche né torte, e il cappuccino è disponibile solo con caffè liofilizzato, servito bollente; mi adatto, osservando intanto gli uomini del paese che sulle panche all'esterno contemplano il mattino, inaugurato da uno di loro con una birra media.

Dopo che Lupo mi aveva cacciato via, me ne andai al nostro rifugio. Noi viviamo in un rifugio di montagna, nel Basso Tatra. Abbiamo sempre parecchia gente: clienti fissi, di passaggio, villeggianti, cacciatori e, in inverno, gli sciatori. Mio padre è il gestore del rifugio. Non entrai, però: me ne andai alla buca del ghiaccio, sopra la casa. D'estate, i cani se ne stanno quasi sempre lassù, per ripararsi dal sole.

Il paese successivo, anch'esso di poche decine di case allineate lungo la strada, è già Bystra, dove secondo la mia ricostruzione Juro frequentava la scuola; ve lo portava una corriera che scendeva dal rifugio gestito dalla sua famiglia, per una strada che potrebbe essere questa... Provo a risalirla: all'inizio ci sono solo deviazioni per qualche albergo, ma più in su si arriva in effetti alla località Trangoška, che ho identificato come l'ambientazione della storia. Il rifugio di legno su due piani è una bella costruzione dalle finestre ornate da tendine, e proprio sulla porta sonnecchia un cagnone della razza (forse i terranova brown) di cui parla il racconto di quarant'anni prima! Penso di entrare con la scusa di chiedere informazioni turistiche, ma la signora bionda un po' segnata sui 35 anni che viene alla porta non parla inglese e si limita a rinviarmi alla posta elettronica. Devo accontentarmi di fare due passi nei dintorni, dove intanto sono in costruzione diversi condominii per la villeggiatura, e poco più sopra è in funzione la partenza della seggiovia che ora risale il monte Chopok, l'altra cima importante alla sinistra dello Dumbier. Certo il turismo di massa sta rendendo meno suggestivo il vecchio rifugio, circondandolo di impianti e parcheggi facilmente raggiungibili; i luoghi sono comunque ameni e posso rendermi conto dal vero della loro topografia. Torno a Bystra e guardo i nomi nel cimitero, che anche qui è costituito da sole lapidi sulla terra adiacenti alla strada e alle case; nessuna donna però si chiama Liva, il nome prevalente è María.

Il mio mito adolescenziale è tutto qui, ed è ora di discendere la valle dello Hron che, passando per la città di Banská Bistrica, si avvia in direzione dell'Ungheria. Non mi serve andare a Nitra e Bratislava, dove tutte le indicazioni conducono, ma a sud: anche qui occorre un po' di navigazione a senso e qualche indicazione a gesti per orientarsi verso quella località secondaria perché estera chiamata Budapest... Quella che era la dogana qui è stata addirittura trasformata in un ristorante.

Finalmente anche gli innumerevoli svincoli della tangenziale di Budapest sono finiti e sono avviato nella direzione voluta, ossia ad ovest in direzione della Croazia dove mi fermerò due notti. Il traffico è inizialmente sostenuto, poi cala una volta arrivati all'altezza del lago Balaton, la cui acqua celeste si intravede fra le ondulazioni del paesaggio oltre il guard rail. Passata la Mura (lo stesso fiume di Graz) ritrovo il familiare paesaggio pianeggiante del Međimurje.


Sarthe 2014

Appena fuori dallo svincolo di Nizza Nord recupero Morgan: è una ragazzona americana del Vermont, con esperienze di volontariato in Africa, che deve tornare a Moulins dove per qualche mese insegna l'inglese in una scuola. Poco più avanti, ad Antibes, raccogliamo anche Sandrine, che dal mondo rampante dell'industria si sta convertendo all'arteterapia. Dopo un po' di conversazione iniziale di reciproca conoscenza, Morgan si addormenta e l'abitacolo si fa silenzioso mentre si scorre veloci sull'autostrada che imbocca la valle del Rodano. Sostando per mangiare oltre Saint-Étienne studiamo insieme le carte e decidiamo di uscire dall'autostrada, navigati da Sandrine, per raggiungere direttamente Moulins invece di dover lasciare Morgan alla stazione di Clermont-Ferrand. Nel centro della cittadina in cui abita scende con le sue grosse borse. Noialtri continuiamo per strade statali verso Bourges, dove prendiamo l'autostrada per Tours, conversando un po' con francese cortesia, mentre ha cominciato a piovere a tratti.

A Tours, dove scende Sandrine, è ormai buio e piove forte. Devo compiere in queste condizioni l'ultimo tratto fra stradine dipartimentali e comunali, seguendo le istruzioni di Véronique che ho annotato su un foglio. Comunque non mi perdo e la trovo come concordato nel centro di Évaillé, da cui mi conduce alla Petite Charbottière che si trova a un chilometro lungo la stradina per Écorpain. Con le due auto entriamo nella corte ancora veramente rurale, con stalle per le vacche gestite da un agricoltore, magazzini, garage e l'abitazione. Una grande stanza al pianterreno, con soffitto basso e finestre sulla corte solo da un lato, funge da cucina e tinello.

Lunedì, essendo il tempo ancora brutto, visitiamo il museo attiguo al circuito semi-permanente della celebre 24 Ore di Le Mans. C'è una rappresentanza di prototipi a ruote coperte che ne sono stati protagonisti fra il 1923 e oggi, dei quali mi intrigano specialmente quelli dell'epoca in cui ragazzo leggevo le cronache su "Autosprint": Porsche 956, Rondeau, TWR Jaguar... Ci sono anche antiche auto stradali, perché da queste parti operarono all'inizio del Novecento diversi costruttori pionieri, e nel 1906 vi si svolse una prima corsa automobilistica sulle lunghe strade rettilinee tuttora esistenti fra un paese e l'altro, fiancheggiate da boschi. Di fianco al museo c'è l'ingresso alla parte permanente del circuito: proviamo a girarci attorno con l'auto costeggiando un muro colorato, poi dopo un paio di rotonde ci ritroviamo nel traffico pomeridiano della strada per Tours, ma i tripli guard-rail ai lati ne tradiscono l'uso nei giorni della competizione: siamo sulle classicissime Hunaudières, il lunghissimo rettilineo che termina con la staccata della curva di Mulsanne, dal nome dell'innocuo paese poco più avanti. In alcuni punti, delle semplici barriere in plastica separano la strada pubblica dalle chicane e dai raccordi con la parte permanente del circuito. Ci tornerò due giorni dopo con la mia auto, con tempo migliore e luce, percorrendo anche il tratto più sinuoso fra Mulsanne e Arnage, in una surreale compresenza di auto private e un lento trattore con cordoli a bande colorate e vie di fuga in ghiaia.

La campagna della Sarthe non è piatta ma ondulata (vallonée, termine entrato in uso per descrivere i percorsi delle corse ciclistiche), ancora tutta utilizzata per l'agricoltura e l'allevamento, con cascine abitate, anche se le proprietà sono oggi più grandi che in passato. È appena arrivato il proprietario di una distilleria ambulante, che gira di paese in paese per permettere a chi vuole di farsi la propria grappa! Tutto pur nella sua semplicità dimostra una rincuorante cura per il territorio e un rispetto delle norme stradali sconosciuti nella degradata Italia, che ha anche una densità di popolazione maggiore. Oltre il torrente Braye ci inoltriamo nel Perche Sarthois e visitiamo a piedi il paese di Valennes, che ha mantenuto uno spirito tradizionale espresso in un bel carnevale: nelle tranquille stradine si vedono canaletti, stalle e case di impianto antico, con architravi in legno e materiali in pietre e tegole locali (piatte e nerastre anziché curve e rosse come i nostri coppi); decidiamo di pranzare nel bar-trattoria-spaccio sulla graziosa piazzetta triangolare dove in inverno si brucia il carnevale, frequentato dagli uomini del posto. Il tempo è ormai bello, e proseguiamo quindi nel girovagare fra altri piacevoli paesi delle vicinanze, con pregevoli edifici e chiese di origini molto antiche.

Mercoledì mi reco a visitare il capoluogo Le Mans. Lascio l'auto nel parcheggio di un interscambio periferico con la linea di tram, ma proprio oggi questa è sospesa a causa di una manifestazione in centro. Mi avvio allora a piedi e scambio qualche informazione con un pensionato che osserva preoccupato una colonna di fumo nero che già da un po' si sta levando dalla zona della prefettura: capisce allora che deve trattarsi dei manifestanti, che ultimamente usano bruciare pneumatici a scopo dimostrativo; come saprò dal telegiornale, si tratta di agricoltori che protestano per l'eccesso di norme vessatorie. Salgo su un autobus e raggiungo la grande place de la République, al di sopra della quale si staglia la città vecchia, edificata sul colle alla confluenza della Huisne nella Sarthe e sede nel Medioevo della dinastia anglo-francese dei Plantageneti. La domina la grande cattedrale gotica, che mi ricorda quelle di Milano e Lione. Il luogo era già strategico per i Galli e poi i Romani, dei quali si conserva la cinta muraria in pietre a motivi decorativi. Belle le vie parallele fiancheggiate dai palazzi con muri a graticcio di travi di legno, ben conservati in grande numero. Mangio in una crêperie e passeggio fumando un sigaro.

Giovedì in auto nella valle del Loir, zona meridionale del dipartimento della Sarthe anch'essa di campagna ma con caratteristiche edilizie e agricole sue. Ci sono graziosi paesini con al centro antiche chiesette attorno alle quali gira la strada, ognuno con una panetteria, una macelleria, un bar e un parrucchiere; tratti di bosco misto e altre distese ondulate di campi, anche vigne. A Trôo guardiamo il fianco del monte tufaceo nel quale sono state scavate abitazioni e cantine, oggi curiosità turistica. Rientrando vediamo cascine che lei conosce perché ci andava ad analizzare il latte lavorando come tecnico caseario, o a giocare con una compagna di scuola. In questo ambiente così rurale e tranquillo sono quantomai a mio agio, e si accorda con la lettura del libro di Pallante sulla decrescita che sto facendo in questi giorni. Certo la Francia non è tutta così: esistono anche qui le affollate autostrade come quella fra Auxerre, Digione e Lione, dalla quale passo per il viaggio di ritorno dopo una rapida sosta a Meung-sur-Loire, dove il commissario Maigret passava le vacanze pescando e giocando a carte: ma ora sembra una cittadina trafficata. Faccio tappa in un motel a Bourg-en-Bresse e l'indomani evito trafori e autostrade passando a sud del lago di Ginevra, poi nelle strade del Vallese in una bella luce autunnale fra meleti e suggestive vigne terrazzate, in cui si procede lentamente per l'abbondanza di rotonde e semafori: di lì posso valicare il Sempione e rientrare in Italia dall'Òssola.


Lisbona 2015

Per il mio viaggio allo UDC Seminar di Lisbona mi prestano una valigia con le ruote e uno smartphone. A Lisbona Sant'Apollonia arrivo di prima mattina, con le ginocchia indolenzite dallo schienale del sedile anteriore verso il quale ho cercato di allungarmi un po'. Mi avvio per lo stradone lungo l'estuario del Tago — quasi un mare; tutti i marciapiedi, dovunque, sono lastricati da cubetti di pietra bianca che complicano il percorso delle mie rotelline. Leggendo l'illustrazione di un tratto di mura capisco di essere a ridosso del centro storico, e mi ci inoltro per passaggi coperti e salite in strade ancora vuote che ricordano una città ligure o occitana: passa solo uno dei famosi vecchi tram bianchi e gialli. Sbocco nelle vie rettilinee che collegano il Tago con le grandi piazze moderne: i bar e i chioschi di giornali cominciano ad animarsi, l'atmosfera al contempo tranquilla e vivace mi piace molto. Con un'altra paziente lunga camminata raggiungo il grande albergo impersonale in cui alloggerò, nei pressi del tratto di viale fiancheggiato da un parco detto Campo Pequeno.

Mi libero finalmente della valigia rosa, ricarico il telefono e mi rimetto a esplorare con calma i dintorni: quartieri moderni e anonimi, poi stradine popolari più animate con insegne di intriganti osterie alla buona. Per pranzare trovo una gradevole trattoria dove ordino pescadinhas fritas: si rivelano due pesci cotti interi con la coda infilata nella bocca. Più avanti da un immigrato che rivende ricambi telefonici trovo caricatore e cuffia per continuare a usare il mio vecchio modello di cellulare: qui l'economia sembra meno globalizzata che in Italia.

Verso sera prendo un metrò per il centro e passeggio fra la gente, compresi parecchi turisti: su una terrazza affacciata alla città un trio suona per i clienti di un locale; al capolinea della funicolare il grasso conducente in un uniforme aspetta seduto al posto di guida; le stradine e scalette che scendono al centro sono piene di trattorie per turisti, come a Roma (ecco: forse l'ambiente popolare del centro di Lisbona ricorda quello di Roma); nell'enorme piazza in riva al Tago una compagnia di artisti suona e balla; sull'arco che la collega alla strada centrale è iscritto che i bassorilievi delle virtù sono posti lì quale "documento" (spunto su cui potrò discutere con Ridi e con Buckland). Cercando di evitare i molti ristoranti con il buttadentro in gilet, ne scelgo uno con un cameriere taciturno dove mangio un discreto baccalà e un bicchiere di saporito porto, che mi ricorda di Nonno che me lo faceva assaggiare. L'indomani comincia il congresso, che raggiungo a piedi all'inizio del Campo Grande, l'ampia zona verde di origine militare dove si trova fra l'altro la Biblioteca nazionale diretta dalla vecchia conoscenza Inês Cordeiro.


Linguadoca, Aragona e Douro 2018

Porto tre persone già ad Arles via Moncenisio, poi nel tramonto proseguo attraverso le lande della Camargue fiancheggiate dai cavalli selvaggi e da chioschi ormai chiusi: per cenare dovrò raggiungere Montpellier, dove sono ospitato per una notte nella casa che Marcin condivide con altri due giovani. La mattina faccio un giro nell'interessante centro della vecchia città universitaria, fino al grande piazzale con una fontana e un arco affacciati sulla vallata circostante.

Quindi prendo a bordo uno studente di biologia che rientra per le vacanze estive nella sua Saragozza portando con sé la sua chitarra spagnola: mentre lui dorme, da Perpignan imbocco la stretta valle che sale al pirenaico col de la Perche e passa in Spagna a Puigcerdà; dagli altipiani prossimi ad Andorra scendiamo nella più ampia e scorrevole valle del Segre, l'Urgell, e attraverso Lerida raggiungiamo Saragozza dove, presso uno degli intricati svincoli autostradali, ci aspetta con una bottiglia di acqua fresca il suo simpatico padre. Costui mi consiglia di proseguire attraverso l'autostrada gratuita in direzione di Madrid ed uscire a Calatayud, da dove in effetti una veloce strada deserta si dirige verso la cittadina di Soria. Si attraversano paesi con qualche vecchio seduto fuori dalla porta, mentre riesco a sintonizzarmi su una radio spagnola che trasmette l'inizio del quarto di finale fra Brasile e Belgio per i campionati mondiali di calcio. Arrivo al motel che ho prenotato, un ambiente semplice e vivace di locali e camionisti dove ceno mentre vedo il resto della partita, vinta con mia gioia dal Belgio.

L'indomani raccolgo sotto la cattedrale di Soria un taciturno lavoratore che rientra a Zamora, dove mi guida lui stesso attraverso altre strade statali in un paesaggio brullo e spazioso; si stanno costruendo tratti paralleli di un'autostrada, scelta sostenuta in manifesti prestampati "autovía ya!". Ci fermiamo brevemente al cimitero di Tordesillas per incrociare e raccogliere una giovane coppia diretta a Porto per turismo: lui, Miguel, è un pianificatore ambientale che osserva il territorio attraversato e intavola una conversazione interessante, mentre lei sembra accontentarsi di subirne la personalità. Col suo aiuto, attraverso l'autostrada da Bragança e Vila Real, entriamo dalla parte giusta nella seconda città del Portogallo.

Il grande albergo consigliato dagli organizzatori sorge nel moderno quartiere di Boavista, a pochi minuti a piedi dalla facoltà di Lettere dove si terrà il congresso. L'indomani in un rapido giro vedo la riva del Douro, il grande ponte in ferro realizzato con la stessa tecnologia della torre Eiffel e il sobborgo frontale di Gaia, dove si sono installate le storiche marche, alcune di origine inglese, che invecchiano il vino portato giù in barca dai vigneti dell'Alto Douro nel famoso vino porto (di cui assaggerò diverse varietà nei giorni seguenti). Cammino per il monumentale centro storico, tutto in pendenza fino al lungofiume di Ribeira costellato di ristorantini per turisti: la città ha un proprio carattere diverso da quello Lisbona, che avevo trovato molto congeniale.

Per il ritorno non ho prenotazioni interessanti di passeggeri, e mi avvio con l'idea di attraversare l'Alto Douro anche in chiave turistica. Mentre sto scendendo verso Régua, fermatomi a fare una fotografia, la macchina non riparte per un improvviso problema di batteria. Faccio segno alle auto che sopraggiungono e subito si ferma un gentile signore di una certa età che tenta invano di far ripartire la mia Subaru collegandola alla sua batteria, poi accetta di portarmi all'officina più vicina e spiegare il problema in portoghese ai meccanici; invano gli offro una birra o del denaro. In breve tempo con un garzone torniamo alla Subaru e la facciamo ripartire, e dopo la pausa per il pranzo sostituiscono la batteria. Riparto senza ulteriori problemi attraverso i panoramici pendii terrazzati a vigneti.

Si passa poi nella zona più aperta di Miranda do Douro, al confine con la Spagna, dove avevo prenotato un alberghetto. Passeggio per le vie della storica cittadina, caratterizzata da un'interessante lingua neolatina locale, e ceno con salsiccette all'aglio e merluzzo alla brace. Il giorno seguente riattraverso la Spagna facendo rifornimento e prendendo da mangiare alla stessa economica stazione di servizio dell'andata: nel locale sono appese foto di toreri.


Bretagna 2020

Au marché de Briv'-la-Gaillarde
à propos de bottes d'oignons
quelques douzaines de gaillardes
se crêpaient un jour le chignon...
(Georges Brassens, Hécatombe)

Partiamo per un trasferimento in tre tappe attraverso tutta la Francia. Ci entriamo per il Monginevro e seguiamo inizialmente l’itinerario non autostradale che avevo messo a punto l’anno scorso, che attraversa il Rodano a Serrières. Arriviamo al bed and breakfast prenotato sulle colline presso Le Puy-en-Velay, di cui la sera visitiamo il centro storico con la cattedrale, importante tappa del Cammino di Santiago, che alle 22 viene illuminata dalla proiezione di un pregevole gioco di luci e colori, al pari del mercato coperto, del municipio, del teatro e di altri edifici della città. Da una strada attraverso il Parco dei vulcani d’Alvernia scorgiamo graziose alture con fortificazioni ma nessuno dei puy che Ale sperava di vedere; transitiamo da Brive-la-Gaillarde, nel modo di dire francese la città qualunque per antonomasia che in effetti ci appare tale, e raggiungiamo un motel nelle vicinanze di Niort. Il centro della città natale del regista Henri-Georges Clouzot ci offre un’affollata movida di giovani e dei piatti di pesce che consumiamo all’esterno di una brasserie. L’indomani cerchiamo la zona rurale del Marais Poitevin, raccomandatoci da Véronique, dove con fatica riusciamo ad arrivare in qualche grazioso paesino e sull’imbarcadero di un canale. Vorremmo vedere la costa oceanica nella zona di La Rochelle, ma le strade passano un po’ più all’interno e perfino in località dai nomi come La Faute-sur-Mer ci sono solo pontili su estuari occupati dal fango della bassa marea; troviamo però l’ombra di qualche pino sulla riva per sederci a mangiare i nostri panini. La strada è ancora lunga ed è tempo di immettersi sulle autostrade per raggiungere la Bretagna, superando gli svincoli di Nantes, Vannes, Lorient e Quimper.

Seguendo le indicazioni di Davide usciamo allo svincolo di Le Faou, un vecchio porticciolo in fondo a un fiordo della rade de Brest, nel quale con un ciclo di circa 12 ore la suggestiva acqua dell’alta marea si alterna alla vista del fondale terroso, infestato da piante di spartina che l’amministrazione combatte con teli scuri e ispezionato da gabbiani e cigni in cerca di cibo. Da un lato, oltre la chiesetta ricostruita nel Novecento in stile goticheggiante, parte la via principale su cui si affacciano negozietti e antiche case a graticcio con il primo piano a sporto, che si conclude nella piazza contornata di locali tra i quali una fine crêperie premiata e sempre esaurita, dove mangeremo l’ultima sera; al lato opposto c’è una piazzetta con il bar Le Donegal e una panetteria, ed è qui che si può salire nell’appartamento utilizzato ultimamente da vari parenti in visita, che gode quindi di una vista eccellente su questa parte del paese e sul fiordo. Nell’insieme è una base deliziosa per il nostro soggiorno. [...]

Raggiungiamo una spiaggia nella penisola di Crouzon e quindi il promontorio roccioso di Pen-Hir, in bretone “la Punta del Mondo” all’estremità della stessa penisola, sul quale si trova un monumento; rientriamo in auto lungo la costa settentrionale, con viste sulla rade de Brest e ricordi di guerre di spagnoli e americani.

Un altro giorno assecondano il mio interesse per la musica tradizionale, che da queste parti è molto attiva e sentita, recuperando informazioni su un fest-noz organizzato da conoscenti: con tre auto si parte verso l’entroterra, ma le informazioni sono vaghe e occorrono diversi tentativi prima di localizzare il rustico nel quale alcune decine di persone stanno effettivamente ballando al ritmo di un duo vocale in lingua bretone, forse la forma più ancestrale delle danze in catena aperta che si vedono anche nel bal folk italiano. Le coppie di cantanti si alterneranno a formazioni strumentali più moderne, una delle quali comprende una bombarda bretone, l’oboe locale parente del nostro piffero, mentre oggi non sono previste coppie di bombarda e cornamusa (binioù). La cosa che più mi interessa è comunque rendermi conto dell’ambiente e dello spirito con cui queste feste avvengono, che almeno in questo caso trovo autentico e per nulla turistico... Il proprietario del posto prima viene a chiedermi di non fare altre fotografie, poi visto il mio interesse mi accenna ad alcuni aspetti dello stile più tradizionale di canto che poco dopo eseguirà lui stesso, e dal quale altri esecutori si sarebbero troppo distaccati: dinamiche simili a quelle che si possono osservare tra i nostri pifferai.

Altre uscite di questi giorni sono a Huelgoat con il suo parco geologico di grandi massi in un bosco, che visitiamo in mezzo a molti altri turisti, e alle città di Douarnenez e Quimper. All’inizio del ritorno facciamo una sosta anche a Roscoff, porto sulla Manica della costa settentrionale da cui partono i traghetti per l’Inghilterra. Belli anche i trasferimenti in auto con poco traffico, in un ambiente sempre curato e molto più verde di come immaginassi, e le interazioni con una popolazione in genere cordiale e rilassata, che nell’insieme rendono la vita in Bretagna davvero attraente. Non occorre andare fino in Irlanda per vedere una cultura celtica...

Andrea approfitta del primo tratto del nostro rientro per avvicinarsi a Parigi dove vive la sua morosa: lo lasciamo in un’area di servizio e quasi subito vi trova un passaggio in autostop, il mezzo di trasporto prediletto nella loro filosofia di vita. Noi continuiamo fino a Tours, dove abbiamo prenotato un alberghetto in centro, e visitiamo le vie della città in riva alla Loira. L’indomani sosta a Loches dove si trova un castello: è giorno di mercato e ci sparpagliamo fra i banchi in cerca di cibo per il nostro pranzo, che faremo più avanti in una tranquilla area di parcheggio. Lentamente arriviamo a nord di Clermont-Ferrand dove finalmente si può godere di una vista sul Puy-de-Dôme, attraversiamo la periferia della città e imbocchiamo strade secondarie in direzione dei monti del Livradois: memore della visita dell’anno scorso, ho prenotato una camera nei dintorni di Ambert all’auberge de la Belette, che si rivela una deliziosa locanda riaperta recentemente e curata con criteri ecologici da una famiglia cordiale.

 

 

Nell'Italia interna : esplorazioni di posti occidentali / Claudio Gnoli — <https://www.gnoli.eu/interna.htm> : 2020.12 - 2020.12 -
« [idem] — Università di Pavia. Dipartimento di Matematica <http://www-dimat.unipv.it/gnoli/interna.htm> : 2013.01.09 - 2021